I manifestanti davanti al Comune di San Ferdinando (foto Quotidiano della Calabria)
di Michele Presta
Le armi chimiche siriane e il porto di Gioia Tauro. Continua il braccio di ferro tra la popolazione calabrese e le istituzioni politiche. Uno scontro pacifico, a colpi di ricorsi legali e manifestazioni. Il malcontento che si respira in terra reggina ha un sapore aspro, di chi si sente dimenticato e ignorato.
Nelle parole di Marina Pace, cittadina di San Ferdinando e attivista del comitato che si oppone al passaggio dell’arsenale siriano per il porto di Gioia Tauro, tutta la preoccupazione e l’indignazione di migliaia di cittadini. “La Calabria fa parte dell’Italia, dovrebbero ricordarsi di noi sempre, non quando gli altri paesi si rifiutano di fare le cose che a noi ci vengono imposte”.
Negli ultimi mesi in Calabria, in tutte le province, sono nati tantissimi comitati spontanei di cittadini, tutti accomunati dalla volontà di preservare e difendere un territorio sempre più martire della scellerata mano dell’uomo, che alla salubrità del posto preferisce il business nelle sue più perverse declinazioni. E’ soprattutto una questione di democrazia; non solo difesa del territorio ma mancanza di trasparenza delle istituzioni politiche nelle scelte che riguardano direttamente i cittadini. “Nessuno ci ha informato, nessuno ha chiesto ai nostri politici qualcosa, decisioni dall’alto che ci vengono imposte senza nessuna consultazione.”
Se da un lato i ministri Emma Bonino e Maurizio Lupi, con il bene placito dell’ONU celebrano la grandezza dell’operazione, rassicurando che il porto ha le competenze e tutti i requisiti per poter assolvere all’operazione con successo, i cittadini esprimono preoccupazioni non solo per le attività portuali ma anche per l’operazione di smaltimento: “Il trasbordo dei rifiuti è molto pericoloso, siamo preoccupati anche per quelle che sono le attività di smaltimento. Il tutto avverrà nel mar Mediterraneo e quest’attività potrebbe avere delle conseguenze ambientali disastrose, non vogliamo diventare il mare dei due fuochi.”
A preoccupare i cittadini non sono solo le conseguenze ambientali, ma la scarsa voce che viene data all’istanza che con strumenti democratici migliaia di persone stanno portando avanti da quando la notizia è stata resa ufficiale. “Viviamo in uno stato democratico, la voce del popolo dovrebbe essere presa in considerazione, nessuno ci dà voce. Abbiamo il diritto di ribellarci alle ingiustizie e continueremo a farlo con tutti gli strumenti democratici che abbiamo a disposizione. Non siamo guidati da nessuna linea politica, siamo dei cittadini liberi e continueremo ad esercitare i nostri diritti.”