L’immondizia è dappertutto, ammassata anche dietro il tribunale di Catanzaro. E’ venerdì, in una delle aule c’è una scelta difficile da compiere, come ogni giorno. Un procedimento antimafia con detenuti che rischiano di tornare in libertà ottiene la precedenza, l’altra seduta prevista viene così rinviata al 16 aprile.
Si trattava di un’udienza preliminare dell’operazione denominata “Pecunia non olet”, scattata nel novembre del 2011. Una vicenda gravissima con arresti in tutta Italia e sequestri di beni per un totale di quasi 100 milioni di euro, eppure dopo più di tre anni il processo (richiesto dall pm Carlo Villani) non è nemmeno iniziato e gli indagati, certamente innocenti fino al terzo grado di giudizio, restano nel frattempo in sella alla gestione dell’ennesima emergenza.
Parliamo infatti di un’inchiesta sul sacco della gestione del ciclo dei rifiuti in Calabria, precisamente legata alla gestione della discarica di Alli. Undici le persone coinvolte, a vario titolo come si dice in questi casi, in un procedimento giudiziario che si occupa di evasione fiscale e reati ambientali. Nell’indagine spiccavano nomi eccellentissimi: oltre all’ex generale della Guardia di Finanza Giovanni Melandri, già assessore comunale a Reggio Calabria e commissario regionale per il superamento dell’emergenza rifiuti in Calabria, compare il sub commissario Francesco Pugliano e l’imprenditore trevigiano Stefano Gavioli. Per quest’ultimo, titolare di numerosissime attività economiche legate al ciclo dei rifiuti lungo tutto lo Stivale, scattarono le manette, mentre a Pugliano toccò una pena migliore: quella di attendere nei paraggi del Palazzo di Giustizia di potersi difendere dalle accuse occupando la sedia di assessore regionale all’Ambiente nella giunta Scopelliti.
L’Agi intanto ci ricorda le accuse formulate in questo procedimento: associazione a delinquere, abuso d’ufficio, evasione fiscale, corruzione, falso e disastro ambientale. Reati a vario titolo contestati nell’ambito di un’inchiesta venuta alla luce in tre diverse tranches, la prima delle quali risale all’agosto del 2011, quando la Guardia di finanza sequestrò beni per un valore complessivo di oltre 90 milioni di euro. Poi ci fu la seconda del 14 ottobre seguente, quando i Carabinieri del Noe hanno sequestrato la discarica di rifiuti di Alli, e la successiva terza del 17 novembre, quando un provvedimento cautelare fu eseguito a carico di sette persone – tutte della società “Enertech”, che gestiva la discarica di Alli fino a pochi giorni prima.
Da allora pochi passi in avanti – tipo l’ammissione come parti civili dei Comuni di Catanzaro e Simeri Crichi, della Provincia del capoluogo calabrese e di alcune associazioni ambientaliste – e una lunga serie di rinvii. Da venerdì 21 febbraio 2013 l’appuntamento in aula a Catanzaro si sposta quindi al 16 aprile, mentre i comitati ambientali di tutta la Calabria lottano e contestano isolati la decisione di quel sub commissario indagato oggi assessore di aprire (grazie alla legge proposta dal consigliere Fausto Orsomarso, approvata in aula lunedì 17 febbraio) proprio agli impianti privati il conferimento della spazzatura indifferenziata ammassata per le strade calabresi.
Nelle stesse ore il gabibbismo televisivo mette insieme le foto-munnizza di Facebook (localizzando la celebre Piazza Santa Teresa di Cosenza a Cariati) e tanto indigna i telespettatori chiedendo ai cittadini perché quei cumuli sono sulle strade. Pone, anche giustamente, l’accento sui malcostumi del popolo ma evita di frequentare quelle stanze in cui vengono rinviate all’infinito le responsabilità, non li si trova nei posti in cui si prendono le decisioni. Della Calabria avvelenata nemmeno loro sono interessati a cercare le colpe, che intanto continuano ad agire indisturbate.
(S. Alfredo Sprovieri)