Marzo era il mese indicato dall’allora ex ministro degli esteri Emma Bonino, ma prima di aprile non si farà nulla. Sulle operazioni di trasbordo delle armi siriane nel porto di Gioia Turo che hanno fatto parlare il mondo è calato il silenzio più fitto, mentre crescono giorno dopo giorno le perplessità sulla sicurezza e il modus agendi dell’operazione.
Proprio mentre a Homas alcuni civili siriani perdevano la vita e altri venivano gravemente feriti a causa di un’ esplosione provocata da un’autobomba, sull’altro fronte del paese avvenivano le operazioni di carico di merci nei container che dovrebbero giungere nel porto calabrese. Un’operazione lunga, ancora è stato completato solo il 25 % del trasferimento, che dietro nasconde le criticità di un’organizzazione a tratti frettolosa e poco attenta secondo molti osservatori internazionali.
Innanzitutto la scarsa propensione al trasporto dei container scelti. Gli stessi, infatti, non avrebbero i parametri stabiliti a livello internazionale per il trasporto dei materiali chimici. Questa carenza strutturale riscontrata ha comportato la necessità di costruzione dei nuovi container con la supervisione di esperti ingegneri operanti in campo internazionale. Si tratta di una lacuna tecnica molto grave, che alimenta le perplessità dei cittadini che abitano nelle zone limitrofe al porto e che sono direttamente coinvolti nella stessa vicenda. La sicurezza dell’operazione, nelle conferenze stampa che si sono susseguite alla divulgazione della notizia del trasbordo delle armi, era stata assicurata ed era stata posta come condizione necessaria di procedibilità per l’operazione senza precedenti nella storia mondiale del disarmo. Tutto da rifare dunque e operazioni che procedono con ritmi di marcia ampiamente inferiori a quelli previsti. Questo primo punto di criticità ha chiaramente risvegliato il fronte del no. I sindaci a voce unanime hanno chiesto al governo l’approdo delle navi in un porto più sicuro, dotato delle capacità operativa che la delicata operazione richiede.
“Non andiamo a morire come i canarini”. Questo per esempio è lo slogan del sindacato USB dei Vigili del Fuoco. Si tratta di un allarme estremamente grave, lanciato al termine di una mancata operazione di addestramento a causa dell’assenza di mezzi, attrezzature e reagenti chimici. Confermate le criticità e le incertezze dell’operazione come già previsto dai comitati che insistono sul territorio della piana resta a questo punto da capire le dinamiche e i tempi della nuova operazione. Nella nota diffusa dall’OPAC emerge che se i ritmi di lavoro continueranno ad essere quelli attuali le operazioni di carico nel porto di Latakia dovrebbero terminare nel mese di aprile, mentre i container arriverebbero nel porto di Gioia Tauro alla fine dello stesso mese. Attualmente l’operazione di carico merci è del 25% suddivise in un 15 % di sostanze pericolose di priorità 1, ossia le più pericolose: che saranno distrutte a bordo della nave Usa Cape Ray. Questa operazione prevede il trasbordo nel porto calabrese. Il restante con priorità 2.
In definitiva a emergere nell’analisi di questa vicenda di armi chimiche, è certamente il legame italo-britannico. Sebbene il documento, classificato con il codice “20120228 D, Siria – distruzioni armi chimiche”, indichi il porto di Gioia Turo come quello prescelto per il trasbordo, non tutte le armi chimiche approderanno infatti nella fu Magna Grecia. Anche in Inghilterra giungeranno delle armi nell’impianto di Ellemesme Port. 150 mila tonnellate di arsenale chimico e una concezione dell’operazione totalmente differente rispetto a quella calabrese. “La missione internazionale di distruggere le armi siriane è essenziale. È importante di poter privare il regime di Assad da queste armi in modo tale che esso non le possa usare per uccidere altre persone” correva dicembre 2013 quando dagli uffici britannici trapelavano queste dichiarazioni, mentre in Calabria il tutto è emerso mesi dopo; strano visto che il documento a cui fare riferimento è lo stesso.
Al termine dell’operazione, la prima in mare aperto, saranno prodotti 5,7 milioni di litri di rifiuti. La destinazione di queste sostanze è attualmente il fondo del Mar Mediterraneo. Consola il fatto che oltre a essere la prima operazione in mare aperto, si dichiari con certezza la destinazione dei rifiuti, quantomeno non resteranno stupiti i posteri che ritroveranno i container.