Un muro a protezione dell’indicibile. Dopo la serie di inchieste di Mmasciata.it e il conseguente libro edito da Falco Editore, l’ex ricovero di mendicità Umberto I di Cosenza e, di conseguenza, il monastero cinquecentesco che per circa 4 secoli fu dimora dei frati cappuccini sulla sommità di colle Pancrazio, sono stati stato murati in ogni loro varco. Una misura, quella presa dall’Asp di Cosenza in quanto beneficiaria di un comodato d’uso per 30 anni sulla struttura, resasi obbligatoria all’indomani dell’ordinanza con la quale, il 15 giugno scorso, il sindaco della città Mario Occhiuto intimava la messa in sicurezza del fabbricato «mediante la chiusura in muratura di tutte le vie d’accesso all’interno dell’ex monastero e la recinzione di tutta l’area esterna dello stesso, onde evitare danni a persone e/o cose». L’urgenza del provvedimento, come previsto dalla normativa in materia, ha fatto scattare una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, con scelta della ditta esecutrice dei lavori tramite il criterio del prezzo più basso. Come si può leggere dal sito dell’Asp (QUI), invitate le cinque imprese di fiducia dell’ente, il miglior ribasso è stato proposto dall’ALVIMA Srl di Cosenza che, per un totale complessivo di poco meno di 50mila euro, si è aggiudicata i lavori conclusi poi entro la prima metà di agosto.
Oltre alle decine di finestre lungo tutto il perimetro dell’imponente struttura, è stato interdetto tramite un imponente muro divisorio l’accesso a quello che, banalmente considerato “giardino esterno del monastero” è, secondo un’istanza prefettizia della seconda metà dell’Ottocento, il primo vero cimitero della città dopo l’abbandono della pratica della tumulazione dei cadaveri nelle chiese, una pratica considerata assai nociva per la salute. L’epidemia di colera del 1866 infatti, riempì di corpi quel modesto appezzamento di terreno, successivamente considerato inidoneo e utilizzato, manco a dirlo, meno di un decennio dopo, come orto sperimentale dalla Scuola di Agraria. ai giorni nostri il provvedimento di chiusura di tutti i varchi d’accesso, detta volgarmente pratica “d’impacchettamento” del bene architettonico, è una misura controversa. Sempre nell’ambito della città vecchia, accomuna l’ex “Umberto I” alla chiesetta dell’Ecce Homo di Porta Piana o alla cappella del Rosario di via Gaeta, e non manca di dividere gli addetti ai lavori. Da un lato c’è chi sostiene la necessità di tutelare persone e cose sbarrando semplicemente la strada, dall’altro chi si occupa di conservazione dei beni culturali, preoccupato per la disfatta progressiva del bene stesso. Come tanti altri capolavori sepolti, all’interno dell’ex Umberto I stucchi e altre componenti architettoniche insieme ai numerosi affreschi ancora presenti (tra cui un’ultima cena ed effigi di vescovi e papi), potrebbero risentire dell’aumentato tasso d’umidità e delle infiltrazioni d’acqua avanzando inesorabilmente verso la loro dissoluzione.
C’è di più. Già il 15 maggio del 1998 l’allora sindaco Giacomo Mancini, a seguito di prolungate razzie nell’ex ricovero chiuso per ordine della magistratura nel giugno del 1997 e a processo in corso per abbandono di persone incapaci e omissione d’atti d’ufficio, incaricò una cooperativa di Portapiana che nel frattempo stava eseguendo dei lavori di bonifica del Castello, di «sbarrare porte e finestre e prendere tutte le precauzioni possibili per scoraggiare l’ingresso di estranei nella struttura». I muri eretti dall’amministrazione Mancini dureranno però poco meno di quattro anni, non proteggendo l’enorme patrimonio artistico e architettonico da nuove razzie e dallo spaventoso rogo dell’estate del 2002. Una lezione, quella contenuta negli archivi, della quale si sarebbe dovuto tener conto.
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