Di Sergio Conti
«Partiti». Il participio passato più famoso della storia del calcio lo ha introdotto un omone di quasi due metri. Bruno Pizzul, friulano doc, la voce dal 1986 al 2002 della Nazionale, esordiva così dopo il fischio d’inizio dell’arbitro, per evidenziare l’avvio delle ostilità tra le due compagini sul rettangolo verde. Stile inconfondibile, come quella stazza da centromediano degli anni 50, che archiviò i sogni del pallone all’indomani di un infortunio al ginocchio. Un maestro di giornalismo e di linguistica. Ormai in pensione, tutto il suo tempo è dedicato alla famiglia e al volontariato, come testimonial di diverse campagne. Stavolta è in Calabria per sensibilizzare alla donazione di sangue del cordone ombelicale. E per il più classico degli amarcord, che avviene a più riprese, più o meno ad ogni pausa sigaretta.
«Il calcio è cambiato. Troppi soldi».
Dice?
«Ma è cambiata anche la società in cui viviamo e non in senso positivo. Questo però non deve diventare un comodo alibi. Anche il calcio, in tutte le sue espressioni, è un tipico fenomeno sociale, interessa tanta gente, suscita passione e attenzione. E quelle che sono le strutture, le contraddizioni, la maleducazione che percorre la nostra società civile, finiscono inevitabilmente per coinvolgere anche il calcio. Che ha assoluto bisogno di recuperare un minimo di respiro etico, del senso dei valori e del rispetto dell’avversario. E, magari, alimentare anche un pizzico di quella cultura della sconfitta che invece noi, in Italia, non siamo proprio capaci di praticare».
È cambiato anche il modo di raccontare la partita. Dalle maniere garbate e dalla ricercatezza del linguaggio narrativo, alle (tele e radio)cronache di oggi, in cui la cifra stilistica è rappresentata dalle urla, dal “sopra le righe” a tutti i costi.
«Lo fanno nei telegiornali alla lettura dei titoli, va di moda questa maniera “ansiosa”. È una modalità comunicativa che aderisce a questo periodo storico. Una volta si badava maggiormente all’aspetto formale. Altri tempi».
Suvvia non mi dica che ai suoi tempi qualche critica non la rivolgevano anche a lei e ai suoi colleghi di allora?
«Ma certo».
Sono tutto orecchie.
«Quando facevamo le telecronache Carosio, Martellini e poi anche io, molti ci dicevano: “Parlate troppo, c’è la televisione, ci sono già le immagini”. Avevano ragione».
Chissà cosa avrebbero detto quei critici al sentire una cronaca sportiva di oggi, con telecronista, commentatore, due a bordo campo vicino alle panchine, e chi più ne ha…?
«Hai la sensazione di avere questo diluvio di parole che ti assale. Tanto da restare un po’ sconcertati. Ma anche il rapporto tra giornalisti e protagonisti del campo è molto diverso».
Un campione che le è rimasto nel cuore? Con cui aveva stretto amicizia?
«Dino Zoff, Fabio Capello, Gianni Rivera, Roberto Baggio giusto per fare qualche nome. C’era il piacere di stare insieme, ma non come giornalista e calciatore. Eravamo persone. Anche giocare a scopa era divertente. Così, quando capita, rinverdiamo quest’abitudine che un tempo era consolidata e oggi, invece, si è frantumata».

Bella questa continua alternanza tra passato e presente. Mi cimento nel confronto: chi è più forte, Maradona o Messi?
«Bella domanda».
Che merita una bella risposta.
«Messi ha ancora margini di miglioramento straordinari, Maradona faceva alcune cose che andavano addirittura contro le leggi della fisica. Entrambi non si possono definire degli “adoni dello sport”, niente fisici statuari, ma come si fa a scegliere il migliore?».
Quindi nemmeno lei si è fatto un’idea?
«Tutti coloro che hanno giocato con Schiaffino, come compagno di squadra, non accettano che si possa mettere in discussione il primato di Schiaffino. Questo per dire come i criteri di valutazione sono tanti ed è quasi impossibile fare raffronti».
Il gol più bello che ha raccontato Bruno Pizzul?
«Quello di Marco Van Basten nella finale del campionati d’Europa tra Olanda e Unione Sovietica nel 1988».
L’unico cruccio, per questo straordinario esempio per generazioni di aspiranti commentatori sportivi, è il non essere mai riuscito a raccontare l’Italia campione. Un signore si avvicina per salutarlo e gli ricorda i mondiali del 1982. «Ci ha regalato grandi emozioni» dice. Peccato che non fosse stato Pizzul ma Martellini il telecronista del Mundial. Brunone non fa una piega e ringrazia ugualmente per l’apprezzamento. È un campione anche nell’ironia. Campione mondiale.
In copertina illustrazione di Gabriele Morelli per la rivista “Mmasciata” di luglio 2012: sfogliala QUI