di Francesco Veltri
Manca poco al discorso del Presidente, le Camere si stanno di nuovo adunando in seduta comune: sarà di nuovo Quirinal Party. Fuori dai pochi momenti di rito, da tempo solenni occasioni come queste trasformano il backstage di palazzo in un grande istituto scolastico abitato da alunni non sempre attenti, sempre pronti a saltare le lezioni o a fare “caciara”. Il rispetto nei confronti del luogo che, per loro fortuna o sfortuna li ospita, ha lasciato spazio all’anarchia più imperante. Segno evidentemente dei tempi.
Ormai è noto anche a chi non sopporta più Mentana, nei giorni scorsi si è eletto Sergio Mattarella capo dello Stato e ora si attende di sentirlo parlare. Rare le parole non più raro l’evento; eleggere il nuovo inquilino del Colle per i politici italiani ormai è un po’ come prendere parte a un gigantesco after hours, la bisboccia del dopo lavoro in cui è lecito tutto e il suo contrario. Riavvolgiamo. Questo lungo carnevale romano è iniziato la mattina del 29, con la prima votazione (quella diventata inutile, che serve solo a tirar fuori improbabili voti a veline e calciatori). Giacca e cravatta imposta a tutti, anche ai venditori di rose sulla piazza.
Mentre fuori non ci sono le centinaia che inneggiavano a a Stefano Rodotà ma le decine che inneggiano a Giancarlo Magalli, dentro 1009 fra deputati, senatori e grandi elettori entrano composti nell’aula che conta, sommersi da riprese televisive e flash fotografici. Qualcuno sorride, qualcun altro si mostra serio, c’è pure chi pare aver studiato davanti allo specchio per ore un’espressione facciale degna. C’è chi risponde alle domande dei numerosi cronisti in modo diplomatico, simpatico e originale. E c’è chi aspetta all’infinito un’intervista volante di una qualsiasi testata giornalistica che non arriverà mai. Ma fa parte della giostra e nessuno, neanche il più sconosciuto, riesce a non sentirsi parte integrante dello show.
I comportamenti, ovviamente, cambiano di persona in persona, ma ogni singolo individuo è consapevole di non essere un essere umano qualunque. Eppure, nel chiuso nell’aula, accade ogni volta qualcosa di magico. I nostri protagonisti del mondo irreale ritornano fanciulli e, incuranti delle telecamere del Grande Fratello che li osservano con infallibile precisione, si lasciano andare, diventando, sempre magicamente e a loro insaputa, esseri umani qualunque. E allora, tra una votazione a l’altra, riescono a compiere atti genuinamente infantili. L‘ultimo immortale, il presidente uscente Giorgio Napolitano, diventato nell’immaginario collettivo una sorta di statua da portare in giro per farla venerale e baciare dal popolo, entra a passo lento in aula venendo subito circondato e quasi travolto dall’esuberanza dei suoi più giovani e vivaci (oddio c’era anche Mario Monti) colleghi che, muniti di smartphone (rigorosamente accessi nonostante il divieto di inizio anno scolastico) si concedono un “selfie” con il vecchio saggio, senza chiedergli l’autorizzazione. Li vedi lì, accalcati alla postazione dell’icona del momento come fosse un Magalli qualsiasi, inizialmente in snervante fila indiana, spingendosi l’uno con l’altro con l’intento di arrivare in fretta all’ambita meta.
«Sorrida presidente» – alcuni urlano posizionandosi alle sua spalle e facendo partire la foto – mentre l’ancora inesperta professoressa Laura Boldrini, dall’alto del suo ruolo istituzionale e pedagogico, chiama timidamente all’ordine i suoi scolari. Poteva non distinguersi la folta rappresentanza calabrese? Capitanata dal grande elettore Mario Oliverio, neo governatore della regione, che si avvicina a Napolitano sussurrandogli qualcosa all’orecchio mummificato. Quest’ultimo, in un faticoso e schizofrenico scatto di vitalità, sembra guardarlo con tenerezza e fugace curiosità, quasi a voler dire: «Ma che vuole questo? E soprattutto, chi cazz’è?». Arriva poi come un fulmine a ciel sereno l’altra rappresentante del Partito Democratico, Stefania Covello, che, riesce a strappare a un Re Giorgio sfinito e pentito di essere tornato in quel vuoto microcosmo, l’ennesimo scatto di giornata da far vedere con orgoglio a parenti e amici quando farà rientro nella sua amata Cosenza. Poco distante dal dramma umano del Capo dello Stato uscente, si può ammirare Angelino Alfano che, reduce da un cazziatone senza precedenti ricevuto in segreto dallo stesso Napolitano («O voti Mattarella o quanto è vero Iddio te faccio o mazz tanto»), con i suoi ingenui occhioni infinitamente spalancati, raggiunge i suoi compagni più fedeli per condividere insieme l’ennesima bella figura del loro Nuovo Centrodestra. Quasi tutti si complimentano con il ministro dell’Interno e fra le convinte strette di mano al ministrone, spicca quella di Antonio Gentile, cosentino come Oliverio e Covello, dimessosi da sottosegretario del Governo Renzi tre giorni dopo la sua nomina, per colpa di un “giornaletto di provincia” (come lo ha definito il suo collega Roberto Formigoni) che voleva pubblicare addirittura la notizia del coinvolgimento del figlio Andrea in un’inchiesta sulla sanità.
Poi la votazione, con gli scatti nel separè dei fedelissimi di Silvio Berlusconi, preoccupati di essere sgamati a non consegnare la scheda bianca. La Lega Nord mostra vignette e vecchie pagine di giornale, grida al ritorno della Dc. Le telecamere sono a volte cercate e a volte temute ma mai quanto la Rete, e infatti i Cinque Stelle si fiondano a pubblicare le foto delle schede con il voto a Ferdinando Imposimato. Una grande lezione di educazione civica, non c’è che dire, ma il clou della festa doveva ancora arrivare. In stile estrazione del Lotto si declama il risultato della votazione, la quarta, la decisiva. «Mattarella…Sergio Mattarella…Vittorio Feltri…s punto Mattarella» e parte un applauso in anticipo. Il quorum dei 505 voti non è ancora stato raggiunto, ma l’atmosfera di euforia travolge ogni regola. Il presidente della Camera riparte: «Mattarella… Imposimato… On punto Sergio Mattarella…» nuovi applausi ma non è ancora il momento. Ormai sono andati: c’è chi applaude e sorride c’è chi non applaude e non sorride, c’è chi applaude mentre piange e c’è chi piange facendosi un altro selfie. Qualcuno imbraccia il trolley e dà appuntamento a martedì: «Ce l’abbiamo fatta, è stata una sofferenza incredibile, durata due anni, ma stavolta ce l’abbiamo fatta».
Perché qui si fa l’Italia. E si muore.