“Ci dispiace se aspettate nel traffico, ma noi sono 30 anni che aspettiamo“. In circa trecento paralizzano la circolazione nel centro di Roma, presidiando in un colorato sit-in le strade di accesso a Palazzo Madama, sede del Senato a Roma. Sono gli attivisti di numerose sigle lgbt, in corteo con l’intenzione di “guardare in faccia” i senatori riuniti in assise per la votazione sul discusso disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Imponente il dispiego di forze dell’ordine per contenere i manifestanti e impedirgli di raggiungere il palazzo del Senato, non mancano piccoli momenti di tensione, subito distesi dai cori ironici destinati ai politici più in vista nel fronte del no: Giorgia Meloni e Carlo Giovanardi.”Tremate tremate, le froce son tornate“, scandiscono fra gli applausi e i rumori i protestanti richiamando anche nei cartelloni i cori femministi degli anni ’70. Gli fa da coda un lungo torpedone di bus urbani rimasti alle spalle del corteo, il traffico del centro è totalmente in tilt. “Andiamo oltre alla Cirinnà e non ammettiamo nemmeno un referendum su questi temi, i diritti in un paese civili vanno dati per legge, non sono una concessione del re buono”.
La prima chiamata del voto (con fiducia) è prevista per le ore 19: il 25 febbraio del 2016 potrebbe essere una data storica per l’Italia, anche se il testo all’esame del’aula è molto diverso da quello iniziale e da quello delle polemiche delle ultime settimane. L’accordo raggiunto fra le componenti del governo non prevede la contestata norma sulle adozioni, decade l’obbligo di fedeltà e anche il divorzio lampo in tre mesi: dopo una giornata di trattative convulse in seno al governo, con vari ministri schierati a pochi metri dai contestatori, è passato un maxiemendamento di 69 articoli che in realtà sostituisce in blocco la legge Cirinnà.
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