In questo periodo tutti vogliono andare in Libano. Ci sono finita anche io, ma non sono scappata come Dell’Utri, e nemmeno come voleva fare Matacena. Ero semplicemente in astinenza di viaggi e il Libano, per me, è una meta molto più attrattiva di altre più popolari e con una fama meno bombarola. Per giorni ho dovuto spiegare che andavo in un posto che non ha i crateri delle bombe in mezzo alle strade, ma che è rappresentata da città cosmopolite del medio Oriente che nulla hanno da invidiare a quelle occidentali. Un posto normale, insomma, che non attrae solo latitanti.
Più che partire dalla Calabria ogni volta si dovrebbe parlare di partorire. Si parte alle cinque di mattino per guadagnare un attesa estenuante a Fiumicino prima dell’imbarco per Beirut. Nella smoking room, vero must aeroportuale per fumatori viaggiatori che mi costa due navette e doppi controlli di sicurezza, tra le nuvole di fumo e la fila di birre vuote sul tavolino, intravedo una scritta sul fianco di un aereo: Anyway you look at it Calabria is always an amazing experience, comunque la si guardi la Calabria è sempre un’esperienza incredibile. Ripenso alla mia notte insonne e sorrido dell’ironia di Alitalia.
Beirut mi si presenta come un posto che ricerca modernità, in un’ansia di adeguamento all’Occidente che le ha fatto dimenticare la sua storia, sepolta prima dalle bombe e poi dalla ricostruzione selvaggia che ha badato più al lusso delle vetrine che al fascinoso tesoro architettonico. Al centro commerciale vicino casa controllano le borse, la mia è molto piccola e la guardia sorride mentre armeggio con la cerniera: una bomba è più grande, mi dice.
Chiacchero con Claudine – la mia “amica-guida” che ha sposato un italiano – e mi dice che il marito non ha la cittadinanza libanese. Perchè sposare una donna o un uomo fa la differenza. Infatti ottengono la cittadinanza solo le donne che sposano uomini libanesi, ufficiosamente questa misura restrittiva serve a sostenere la causa palestinese, per evitare che i numerosi profughi presenti nel Paese abbandonino la causa alla costituizione della Palestina. In realtà si tratta di una cattiva interpretazione di una legge. Anche i bambini nati da matrimoni con mamma libanese e papà straniero non hanno la cittadinanza, nè hanno la possibilità di ottenerla facilmente: qui si diventa cittadini solo per rarissimi decreti presidenziali. E non è solo una questione di diritti politici ma di vivere come veri e propri stranieri a casa propria, con tanto di rinnovi di permessi di soggiorno e impossibilità d’ iscriversi agli ordini professionali.
Beirut è una città di mare anche se non è la prima cosa che vedi. Per trovare spiagge di sabbia e non scogliere arriviamo a Jiyeh, circa trenta chilometri a sud. E’ domenica e la trascorriamo senza scopi “turistici”, tra un bagno al mare in un lido arredato con gusto, bambini e compleanni. Majdalouna invece è un paesino rurale. Ci arriviamo dopo aver attraversato altri piccoli centri abitati, io pensavo fossero una sorta di frazioni ma Claudine mi dice che sono municipalità (il corrispettivo dei nostri comuni) nonostante le piccole dimensioni. Il paesaggio è disseminato di case costruite a metà. Dopo le guerre
passate e la più recente del 2006, lo Stato ha dato incentivi per la ricostruzione che non ha preservato le vecchie case, spesso non completamente distrutte e che non necessitavano di una demolizione. I proprietari hanno costruito nuove abitazioni ma, una volta terminati i soldi, si sono fermati anche i lavori.
Siamo a un compleanno, cerco di capire le conversazioni in francese (di cui non conosco praticamente una parola) ma è quasi impossibile: i libanesi si muovono agilmente, nella stessa conversazione, tra francese, inglese e arabo. Al momento della torta la classica canzoncina di buon compleanno è cantata in tutte e tre le lingue. Finisce con i bambini che giocano con l’acqua e una partita di basket “papà VS figli”, tra i giocatori un accaldato ambasciatore svedese.
Ci salutiamo, il Libano è anche il Paese dei tre baci.
(1. continua)