Rimbalzo per le Borse europee dopo il tonfo di ieri, ma il famigerato spread – il differenziale tra i titoli di stato a 10 anni italiani e tedeschi – resta sopra la soglia d’allarme dei 400. Intanto sprofondano gli stipendi, mia così male negli ultimi 29 anni. A marzo la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,2%) e il livello d’inflazione (+3,3%), su base annua, tocca una differenza di 2,1 punti percentuali, che rappresenta il divario più alto dall’agosto del 1995, quando era di 2,4 punti percentuali. Insomma, crescono i prezzi e diminuiscono gli stipendi, per come rileva l’Istat. Ovvia la diminuzione dei consumi, visto che le famiglie hanno sempre di meno per acquistare beni. Secondo i sindacati il problema è nella rigidità con cui si rinnovano i contratti in Italia, i salari fermi sono figli anche di una eccessiva pressione fiscale, secondo Bonanni, leader della Cisl.
Stipendi mai così in basso
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