di Ettore De Franco
Presentare la propria candidatura per ricoprire un qualsiasi ruolo in una qualunque delle imprese inglesi attraverso internet è un processo che regala delle sorprese. Dopo aver completato le voci che ti richiedono notizie sul domicilio e sull’idoneità a lavorare nel Regno Unito, si passa alla descrizione delle mansioni che vorresti svolgere; dopo di che, il più delle volte, ti propongono di scrivere una lettera motivazionale nella quale devi riuscire a spiegare perché saresti la persona adatta a ricoprire l’incarico in questione.
Quando pensi di aver terminato ti compare un curioso questionario, con ‘risposta a tendina’, nel quale ti chiedono di specificare a quale ambito etnico appartieni. Le opzioni di risposta sono, ovviamente, multiple e riflettono la vasta gamma di eventuali provenienze che caratterizzano la multiculturale terra della Regina. Bianco-Inglese, bianco-nord irlandese (in questo caso specificare se cattolico o protestante), bianco-irlandese, bianco- europa dell’est, persona di colore-africana, persona di colore-caraibica, indiano, cinese. Italiano del sud o italiano e basta.
Dopo una sessione di mezz’ora per completare l’application form mi rifiuto di chiudere la finestra e tornare a leggere i post di spinoza.it, quindi ignoro il fastidio che si manifesta con prurito all’epidermide e provo a scegliere una delle voci che mi vengono proposte. Cerco di convincermi che i datori di lavoro abbiano bisogno di questo genere di informazioni per cercare di riprodurre nell’ambiente produttivo un pizzico del multiculturalismo che si respira lungo gli umidi marciapiedi albionici. Cerco, dunque, di trarre un rapido bilancio della mia ascendenza.
Dovrei rientrare nella categoria dei bianchi, ma da maggio ad ottobre penso di essere più mulatto che ariano; mia nonna materna era di Asti, mio nonno materno di Piane Crati, mia madre nata a Cosenza e cresciuta tra Torino, Roma e Napoli mentre mio padre vide la luce a Rende come i suoi genitori. Probabilmente tra gli antenati della famiglia di mio padre si può annoverare qualche magno greco o qualche aragonese e non mi sento di escludere neanche possibili influenze albanesi o balcaniche, per non parlare dei cartaginesi che, sfuggendo alla furia romana, hanno trovato rifugio in terra brutia. Probabilmente il ramo piemontese della mia famiglia ha qualcosa in comune con la Francia, o la Sardegna e gli austriaci, dove li mettiamo?
In un momento di lucidità arrivo a pensare che, forse, ciò che vogliono sapere in realtà è il contesto identitario al quale ritengo di appartenere. Come spiego loro che mi sento più brigante che cattolico, apostolico e romano? Che ho fratelli elettivi in Maghreb così come in Germania, a Badolato, Crotone, nel Paese Basco ed in Argentina? E così, spossato da questo viaggio nel mio DNA, mi rassegno a non completare i formulari fin quando mi comparirà l’opzione: “Son più rosso che blu, son più rosso che blu”, come la vecchia Curva Sud.