Cara redazione,
ho 30 anni, ho un lavoro e una vita negli Stati Uniti e sono felice di come sono riuscita a raggiungerli. Tuttavia provo profondo rammarico nel notare come l’Italia abbia chiuso le porte ai giovani ricercatori, nelle scienze in generale. Negli altri paesi si investe nella ricerca e nell’istruzione, come prime soluzioni per affrontare una crisi che non è solo economica ma anche sociale e culturale. In questo paese nell’ultimo decennio (per lo meno da quando ho iniziato nella ricerca) soffiano forti venti contrari. A volte si ha come la sensazione che si cerchi deliberatamente di creare nuove generazioni che non debbano sentire la necessità di ambire a livelli di studio superiori. Parlo ad esempio dei dottorati di ricerca, nel gergo scientifico PhD. In Italia la maggior parte della gente (o almeno questa è la mia esperienza) non sa nemmeno cosa sia un dottorato di ricerca. Nelle aziende spesso il titolo di istruzione superiore viene usato come scusa per non assumere (troppo qualificato ti rispondono) e con le ultime riforme universitarie, se dopo quattro anni di assegni di ricerca (ovvero contratti a tempo determinato) non riesci ad accedere ad un livello superiore semplicemente non ti rinnovano più il contratto.
Negli Stati Uniti, quando si trovano di fronte una giovane donna che ha conseguito un dottorato di ricerca si dimostrano sempre impressionati; mi stringono la mano e mi fanno i complimenti, ancor di più dopo che mi chiedono in che cosa ho conseguito il dottorato di ricerca. Se si decide di lasciare il settore accademico e di fare ricerca presso un’azienda privata, non solo ti assumono molto più facilmente, ma il tuo stipendio di partenza è il doppio rispetto a quello con un titolo di studio inferiore. A dirla tutta, molte aziende cercano solo dottori di ricerca per determinate posizioni.
Provo tanta amarezza ogni volta che incontro un italiano che ha rinunciato al sogno di poter rientrare nel proprio paese. L’esperienza all’estero è meravigliosa, come ho già detto prima, ed è anche necessaria penso all’inizio della proprio carriera per poter ampliare il proprio bagaglio culturale e scientifico. Ma si dovrebbe dare anche la possibilità di tornare indietro. Molti altri paesi fanno esattamente questo: offrono ai propri giovani borse di studio della durata di qualche anno per studiare all’estero e poi li fanno rientrare con contratti di lavoro alla mano. Insomma fanno un investimento sulle nuove generazioni. Da noi si fa esattamente il contrario.
Ritengo che sia importantissimo poter dare a tutti la possibilità di ricevere la stessa istruzione, a costi bene o male accessibili da una gran parte della popolazione. Qui negli Stati Uniti ho conosciuto persone che hanno, stanno o dovranno pagare il prestito ottenuto dalle banche per lo studio per i dieci anni di lavoro successivi alla data del loro diploma. Sono in tanti gli italiani che fanno ricerca all’estero, che sono stimati e che occupano posizioni di rilievo. Cerchiamoci sempre di ricordare da dove sono partiti.
Personalmente sono profondamente grata a tante persone, professori, ricercatori, colleghi, che ho incontrato tra i Cubi di Arcavacata e che mi hanno trasmesso la passione e l’importanza della ricerca. Se oggi lavoro per Physical Review Letters lo devo anche a loro. Tanti italiani partono, molto spesso per necessità altre volte per scelta, ma tanti altri decidono di rimanere e continuano a contribuire alla ricerca in Italia, se pur muovendosi all’interno di un sistema che sembra remare contro. Sono molto contenta quando la stampa locale porta alla luce i successi conseguiti da qualche italiano all’estero. La stessa attenzione è dovuta a tutti quelli che continuano a fare ricerca in Italia, tengono corsi universitari, spesso anche sottopagati, ma così facendo mantengono viva e competitiva la ricerca italiana e danno ad altre persone i mezzi per poter raggiungere i propri obiettivi.
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Gentilissima lettrice,
non è solo una sua impressione. Credo che certi venti soffino in direzioni precise quanto sciagurate, non per caso. Detto questo non penso di dover aggiungere tante altre parole alla sua appassionata lettera, per la quale la ringrazio. E’ vero sempre più cervelli fuggono da questo posto, ma i loro cuori restano.
sas