«Un giornale libero è essenziale per la salute della democrazia».
La romantica libertà di stampa è qualcosa che nell’immaginario collettivo potrebbe essere confinata nel Regno Unito, al massimo negli U.S.A., oppure nei paesi scandinavi. Non è così, e la lettera di Peter Oborne rilasciata sul sito opendemocracy.net è un trattato sul giornalismo, su quello che dovrebbe fare un buon reporter per essere il guardiano della democrazia. La lezione britannica delle cinque W: Who, what,when,why, where. Niente di più.
Peter Oborne è stato uno dei responsabili degli editorialisti politici del Telegraph. Come ha più volte sottolineato nella lettera, era molto orgoglioso dell’incarico che gli era stato conferito poiché considerava il suo il giornale di riferimento dei britannici, il giornale che nella sua gloriosa storia aveva saputo informare gli inglesi come nessun altro. Suo nonno, di media borghesia, aveva un rapporto così intimo con il giornale al punto che nessuno poteva alterare il suo rituale di lettura, uova , caffè e bacon mattutino.
«You Don’t know what you are fucking talking about»
Il motivo per il quale in Inghilterra si stia ripensando moltissimo alle dimissioni di Peter Oborne è molto chiaro. Negli anni il Telegraph aveva avuto la possibilità di raccontare gli scandali che sono nati dalla diffusione dei documenti SwissLeaks. I conti della HBSC, grossissima banca svizzera, erano stati a lungo scandagliati dai cronisti inglesi che più volte provarono a scrivere di come i buchi neri nei conti svizzeri venivano miracolosamente riempiti. Online riuscirono a essere pubblicate giusto un paio d’ore, sulla carta non trovarono mai spazio. Peter Oborne ha raccontato che più volte si incontrò con il direttore editoriale per discutere della gravità della censura, di come il giornale stesse raccontando i fatti in maniera sbagliata e di come non furono ravvisati motivi per invertire la tendenza della linea editoriale. Più volte dopo aver rassegnato le dimissioni, il reporter britannico dice di aver provato a contattare i suoi colleghi che avevano lavorato al caso HBSC, ma pare che con molti di loro non riuscì neanche a stabilire un contatto. Alcuni gli raccontarono di come furono intimati a cancellare le mail che provavano il lavoro di inchiesta che avevano condotto, mentre chi provava a riprendere la notizia veniva scoraggiato dal farlo. Sembra di leggere le cronache di un quotidiano italiano (o anco di più calabrese) ma non è così. La linea editoriale del Telegraph non cambiò neanche nei giorni dello scandalo, quando tutte le testate aprirono con la notizia della banca svizzera. La notizia comparve sul giornale solo solo al sesto giorno di scandalo, e nella pagina economica.
Bisogna sottolineare che quando Peter Oborne fu assunto correva l’anno 2010, il giornale viveva una grossa crisi editoriale e molti giornalisti furono licenziati. Nel 2014 poi venne assunto l’americano Jason Seiken, subito nominato “capo dei contenuti”. La crisi di contenuti del giornale , come spiegato nella lettera di Oborne, iniziò proprio in quell’anno. Mr. Seiken orientò la linea editoriale non sui contenuti ma sui clic e privilegiare i clic ai contenuti però ha un solo beneficio: rendersi appetibili ai pubblicitari. Oborne si è dimesso per rispetto dei lettori, con una lettera che farà storia. Alle sue domande urgenti dei rapporti tra la banca e il giornale con molta probabilità non risponderà nessuno. Per scelta, è anche questo un gentlemen agreement.
«Se le priorità pubblicitarie stanno permettendo di determinare la linea editoriale come possono credere i lettori che il giornale stia dicendo la verità? Gli articoli non sembravano essere più giudicati per la loro importanza, accuratezza o per il livello di interesse che potevano avere per chi compra il giornale. L’indice più importante era diventato il numero di visitatori raggiunti online. Il 22 settembre il Telegraph ha pubblicato una storia riguardo a una donna con tre tette. Un giornalista del Telegraph mi ha detto che si sapeva che la storia era falsa ancora prima che fosse pubblicata. Non ho dubbi che sia stata pubblicata per generare traffico online, cosa che poi probabilmente è successa. Non sto dicendo che il traffico online non sia importante, ma nel lungo termine, comunque, episodi di questo genere fanno danni incalcolabili alla reputazione di un giornale»»
Il quotidiano ha pubblicamente negato le accuse mosse dal cronista, che intanto macina record di clic con la sua verità.