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FACT CHECKING | Quella fame di bufale che fa un baffo ai terroristi

Daniel Intrieri
Daniel Intrieri
Novembre16/ 2015

di Daniel Intrieri

Rischiamo di abituarci alle bombe come agli stormi di post, retweet e immagini editate all’amatriciana; il problema è che tutta questa attività collettiva compulsiva influenza l’informazione in modo sempre più prepotente.

#JeSuisBufala
#JeSuisBufala

Beh, i fatti li conoscono in ogni angolo del Globo: mentre allo Stade de France l’amichevole tra Francia e Germania si avvia verso la sua conclusione, qualcosa attrae l’attenzione dei 60mila spettatori, una fiumana di tifosi che improvvisamente sembrava non essere più interessata alla partita di calcio che continuava irreprensibilmente davanti ai loro occhi. D’un tratto tutto lo stadio diventa silenzioso, le persone nel pubblico si cercano con lo sguardo, come se quello seduto di fianco a loro avesse la risposta in tasca al perché Francois Hollande, anche lui tra il pubblico della partita, fosse scappato via, visibilmente scosso. Nessuno sapeva, quello che era sicuro è che c’era sicuramente qualcosa dietro quell’esplosione che, solo per un attimo, ha distratto anche i calciatori in campo. Anche loro purtroppo sono abituati alle esplosioni dalle tribune, sarà meno importante ma bisogna ragionare anche su questo.

Certo, i tifosi avevano qualcosa che in quel momento non c’era nelle tasche (metaforiche, quegli orridi calzoncini non hanno tasche) dei giocatori impegnati a rincorrersi. La risposta, annunciata appena sopra con un pizzico di foreshadowing, si è davvero manifestata nella forma di uno smartphone. Ebbene, come anche in questo caso si è ormai meccanicamente abituati a fare, tutti hanno iniziato ad aggiornae le proprie timelines di Twitter e Facebook, in attesa che la risposta si manifestasse davanti a loro. In pochi attimi ecco la notizia: Kamikaze si fa esplodere nei pressi dello Stade de France. Erano le 21:16. D’un tratto la partita è ormai una cosa distante agli occhi di tutti, al punto da desiderarne la conclusione. Ormai tutti sapevano, grazie ad un piccolo aggeggio che aumenta la possibilità di sapere una cosa successa, forse diminuendo la capacità di capirla.

Perché questo tipo di informazione, che vede tutti non più come consumatori ma come possibili divulgatori di notizie, ci pone davanti un pericolo da non sottovalutare. Mentre per le strade c’era la guerra ai terroristi, su Internet si scatenava la corsa a chi prendeva più likes, reblog e retweet. Protagoniste di questi post si radunano sotto forma di foto di Parigi con la dicitura “Pray for Paris”. E così inizia anche la pioggia di #hashtag, tutti alla ricerca della lacrima, tutti pronti a sfruttare la situazione per qualche secondo di celebrità. Tutti pronti alle azioni più disdicevoli, più spregevoli, per vedere il proprio tweet nei preferiti di Barack Obama che in quei minuti stava anche lui rilasciando una dichiarazione sugli avvenimenti. Tutti impegnati a entrare nel megaflusso di conversazioni, a bagnarsi sotto la cascata di like. Il problema è che in tutto questo cercar di postare quello che piace sapere nessuno spazio trova chi cerca quello che – piaccia o meno – si deve sapere.

Peace
#Una foto che sta girando tanto sui social ultimamente ritrae la Tour Eiffel racchiusa nel simbolo della pace. L’immagine è stata attribuita dalla rete a Banksy. E’ in realtà dell’artista francese Jean Jullien (cliccando sulla foto verrete portati al suo account twitter)

E così la scorpacciata di bufala torna virale, perché ovviamente non manca mai chi si spinge ancora oltre ad un’immagine concepita male e photoshoppata peggio della Tour Eiffel a cui attaccare qualche slogan qualunquista. C’è chi ha portato questo grande gioco più che sociale, social, al next level. Nelle ore in cui si cercava di attribuire ai terroristi dei volti, qualcuno che aveva appena finito di scaricare photoshop illegalmente ha preso una foto di un ragazzo che si è fatto un autoscatto col suo iPad e, sfruttando il fatto che la grandezza del tablet sembra compatibile con quella di un Corano, ha sostituito il primo oggetto col secondo, pubblicando su Twitter la foto editata e scrivendo a proposito della stessa che si trattava della foto di uno dei possibili terroristi che hanno compiuto gli attacchi di Parigi. Roba da milioni di impressioni che nemmeno il caso Watergate. Ma non tutto è perduto, forse. In questo marasma di foto e notizie inventate per raccimolare likes, Internet sta conoscendo l’espansione degli anticorpi naturali del giornalismo. Il suo nome inglese è fact checking. La cara e vecchia verifica dei fatti che in questo caso significa fornire prove atte a confermare una certa notizia che spunta dal nulla sui social. E anche questo post ne è stato soggetto: non tarda infatti ad arrivare la smentita di un utente, che forse avrà già visto la foto originale, che dice che quello che fino ad allora si credeva fosse un terrorista, era solo un ragazzo che postava selfie sul suo twitter, mentre si preparava al suo primo appuntamento con una ragazza.

Il fact checking, che si sta imponendo in mezzo mondo come modello di informazione online avanzato, lo ha salvato dal passare da terrorista quando invece lui voleva soltanto gli augurassimo buona fortuna in vista del suo primo appuntamento con una ragazza appena conosciuta.

 

Insomma, in attesa di capire perché siamo così voraci di bufale, durante il prossimo fatto di cronaca tra la confusione di ragazzi insicuri che chiedono una parola di augurio per la riuscita del loro appuntamento, e foto della Tour Eiffel photoshoppate male, ricordatevi di queste due parole: FACT CHECKING.

Potrebbero salvarvi la vita.

Daniel Intrieri
Daniel Intrieri

Traduttore ed Interprete, ogni tanto prova a fare il giornalista. Amante del fumetto giapponese, è intrappolato nel mondo a tre dimensioni.

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