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VITA DI REGIME | Il lato nascosto della Repubblica di Pyongyang

Ludovico Tallarita
Ludovico Tallarita
Febbraio17/ 2016

Montagne russe, cinema in 3D, parchi acquatici – uno dei quali costruito dalla ditta italiana che ha lavorato anche con Disneyland –  e addirittura un quartiere soprannominato Pyonghattan per la presenza di numerosi grattacieli che ospitano alcuni degli alloggi più esclusivi della capitale. Per chi c’è stato descrivere la Corea del Nord come un Paese povero sull’orlo del collasso sarebbe semplicistico: se ne è avuta l’ennesima conferma nelle ultime settimane con i test missilistici e satellitari.  E’ ancora presto per effettuare una stima precisa di quanto siano costate al regime queste operazioni, ma analizzando i dati pubblicati tre anni fa dalla CNN se ne può ottenere un’idea approssimata: basti pensare che nel solo 2012 il regime ha speso oltre un miliardo e cento milioni di euro per il suo programma spaziale.

All'alba i ritratti di Kim Il Sung e di suo figlio Kim Jong Il sono ancora illuminati. Anche durante i frequenti blackout, la fiamma in cima alla torre Juche di Pyongyang resta sempre accesa.
I ritratti di Kim Il Sung e di suo figlio Kim Jong Il restano sempre illuminati, insieme alla fiaccola sulla torre di Juche. (foto di David Guttenfelder per National Geografic)

Cifre di questo tipo sono in forte contrasto con le informazioni che arrivano dalle pochissime istituzioni internazionali alle quali è permesso operare nel Paese, come la Food and Agricolture Organization (FAO) e il World Food Programme (WFP), che raccontano di una popolazione in ginocchio per via del fallimento economico del modello socialista. Human Rights for North Korea, una Ong americana che si dedica alla documentazione della situazione dei diritti umani in Corea del Nord, ha pubblicato un rapporto intitolato “Pyongyang Republic”, che mira a riconciliare queste due immagini contrastanti, seppur entrambe vere.

Il rapporto evidenzia come esistano due realtà profondamente diverse all’interno del Paese. Da un lato, la Repubblica di Pyongyang, dove è permesso vivere soltanto ai fedelissimi del regime, e dove quindi convergono i flussi di risorse. Dall’altro, la Repubblica delle Province, dove vengono relegati i cittadini – o forse sarebbe meglio chiamarli sudditi – privi di qualsiasi tipo di influenza e sui quali non si può fare affidamento politico. L’autore, Robert Collins, ha fatto parte per 31 anni del contingente militare americano in Corea del Sud e oggi rappresenta una delle massime autorità per quanto riguarda le dinamiche interne che caratterizzano la Repubblica Popolare Democratica di Corea.

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Vasca di pesci rossi nell’ufficio della principale agenzia di stampa nordcoreana (foto di David Guttenfelder per National Geografic)

Scrivere di Corea del Nord risulta sempre particolarmente problematico per un osservatore, è estrema la difficoltà di verificare quanto viene affermato da una fonte. Tuttavia, pur ammettendo che gli americani abbiano un interesse di parte nel descrivere la dittatura di Pyongyang nei termini peggiori, chi scrive ha visitato la capitale nordcoreana e dintorni ed è giunto a conclusioni analoghe.  E, cosa molto più importante, molti dei 28mila rifugiati fuggiti dalla Corea del Nord confermano la tesi di Collins. Pyongyang è la sede del potere nel Nord del Paese da più di duemila anni e oggi ospita circa un decimo dei 25 milioni di abitanti della Corea del Nord. A partire dal 1945, in seguito alla fine della guerra di liberazione contro il Giappone, l’area è stata occupata da forze comuniste coreane e sovietiche, che l’hanno ufficialmente dichiarata “Capitale della Rivoluzione”, slogan usato ancora oggi e che campeggia quasi ovunque in città. In modo da incoraggiare il reclutamento delle elite all’interno del partito Comunista, Pyongyang offre i migliori servizi di istruzione e di alloggio, nonché una marcata possibilità di mobilità sociale.

Per vivere nella capitale, conferma il rapporto di HRNK, occorre un permesso firmato dal Partito dei Lavoratori di Corea e dal Ministero del Lavoro, cosa che solitamente avviene dopo un attento esame della storia familiare e del songbun – status o ceto sociale – del soggetto in questione. Addirittura, secondo quanto affermano i media cinesi, i nordcoreani preferirebbero lo status di residente a Pyongyang alla vittoria di un’ipotetica medaglia d’oro alle Olimpiadi. La storia familiare è particolarmente importante dato il principio del yeon jwa je – colpevolezza per associazione – secondo il quale fino a tre generazioni legate una persona giudicata “criminale” devono essere punite.
Qualsiasi visitatore della Corea del Nord, data la possibilità di allontanarsi dalla capitale attraverso le larghissime e deserte autostrade che collegano la città al resto del Paese, si accorgerebbe della presenza costante di check-point militari. Questi ultimi sono necessari per controllare le migrazioni interne della popolazione e quindi anche per impedire ai meno fedeli al regime di trasferirsi a Pyongyang.

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Donna piange dopo aver cantato un inno al leader, solo i fedelissimi possono vivere nella Capitale. (foto di David Guttenfelder per National Geografic)

Un rapporto speciale del WFP in collaborazione con la FAO citato dal rapporto di Collins ha evidenziato come l’84,4% delle famiglie nordcoreane soffra per via di una “disponibilità di cibo scarsa o borderline”.
Stando ai dati ufficiali relativi al 2014, delle sette imprese alimentari del WFP che producevano cibo in Corea del Nord, cinque sono state chiuse. Le uniche che risultano essere ancora operative sono nel pieno centro di Pyongyang.
Anche le derrate alimentari provenienti da Paesi esteri sotto forma di aiuti vengono sistematicamente dirottate verso la capitale. Nel 2011, scrive Collins, il regime ha ricevuto dalla Russia 50mila tonnellate di cibo. Di queste soltanto 10mila hanno raggiunto nordcoreani residenti fuori da Pyongyang. La percezione delle realtà rurali da parte delle organizzazioni internazionali rimane approssimativa, così come quella del turista che attraversa la campagna in pullman. Il paesaggio è brullo e nei campi si vedono spesso grandi cumuli di sterco, che secondo una fonte diplomatica, che ha preferito rimanere anonima, sarebbero l’estremo tentativo da parte dei contadini di concimare il terreno in assenza di bestiame, con le proprie feci. Così aumentando le probabilità di un’epidemia di colera.

I concetti racchiusi nella filosofia dello Juche, l’ideologia nazionale che unisce teorie relative all’autosufficienza dello Stato con il materialismo storico di stampo marxista, si rispecchiano nell’architettura della capitale. Sin dall’inizio c’è stata la volontà di far diventare Pyongyang un monumento a tout-court al socialismo. La Torre dello Juche è la più alta costruzione di roccia esistente al mondo, ci tengono a far sapere le guide che accompagnano perennemente chi viaggia qui. E poi l’arco di Trionfo voluto da Kim il Sung e bla bla bla.

Esiste tuttavia un lato di Pyongyang che il turista può solo intuire, una prospettiva storica e sociale che richiede uno studio più approfondito, come quello effettuato da Collins per Human Rights North Korea.

Ludovico Tallarita
Ludovico Tallarita

Pennivendolo con la passione per il viaggio. Da Pyongyang a Londra, passando per Minsk e Los Angeles, ha collaborato con la carta stampata e fatto parte dello staff di The Post Internazionale.

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