(dal nostro inviato)
La vicina Russia è l’osservato speciale. Più di 6mila agenti setacciano ogni angolo di Varsavia e controllano con scrupolo ogni stazione e fermata di metro e tram. Gli uffici chiedono ai loro dipendenti di prendersi un giorno di ferie o lavorare da casa, i divieti sono molti. Vietato scattare foto, vietato correre, vietato lasciare i propri bagagli o le proprie borse incustodite. Uno speaker nelle due linee di metro cittadina annuncia i divieti in più lingue.
#Natosummit in #Warsaw pic.twitter.com/ofbLifR6D4
— Michele Presta (@michelepresta) 8 luglio 2016
Tutte le riunioni del vertice Nato si svolgono allo stadio Nazionale costruito in occasione dell’edizione dei Campionati Europei in Polonia e Ucraina, il centro cittadino dove sorge il maestoso Novotel è presidiato da centinaia di agenti; turisti e cittadini passeggiano in direzione Old Town quando tra le sirene che annunciano l’arrivo dei delegati Nato Obama sfreccia con la sua auto facilmente identificabile dalle bandierine stelle e strisce posizionate sul cofano anteriore e con al seguito agenti che imbracciano fucili ostentati senza alcuna remora.
La prassi è questa, in una sola città ci sono i leader più potenti del mondo, il rischio attentato è elevatissimo. Allo stesso tempo, l’occasione per far sentire la propria voce non potrebbe essere migliore: in diverse piazze della città gruppi spontanei di cittadini si riuniscono, sono nell’occhio del ciclone e tentano di attrarre verso di loro i venti dei media. Per qualche ora l’accordo NATO-UE sulle misure preventive militari da adottare nei confronti della Russia passa in secondo piano. Le strade sono bi-colore rosso e bianco come qualche sera prima per la partita contro il Portogallo campione d’Europa. Adesso non c’è da difendere l’orgoglio calcistico ma quello nazionale.
In Piazza Martin Luter King si è radunato il Kod. La piattaforma di cittadini capeggiata dal leader Mateusz Kijowski che si oppone al partito di governo Diritto e Giustizia (Pis), nell’ultimo anno protagonista di provvedimenti molto discussi. Inizialmente con la legge sul controllo dei mezzi di informazione, votata il 31 dicembre 2015 e che depone nelle mani del ministero del Tesoro, quindi il governo, il potere di nomina dei dirigenti della tv pubblica e della radio pubblica, che prima erano scelti invece da uno speciale consiglio, una riforma che riguarda 4 canali Tv e oltre 200 stazioni radio. Adesso la questione ben più delicata che riguarda il Tribunale Costituzionale che in Polonia è un organo giudiziario competente in materia di conformità delle leggi con la Costituzione, conflitti di competenze e ricorsi promossi dai cittadini.
Nell’appassionato discorso di Piazza M.L. King, Kijowsky ha più volte sottolineato che il Tribunale è controllato e condizionato dai conservatori venendo meno in questo modo le garanzie di aderenza alla Costituzione polacca delle nuove leggi. Lo scorso anno il parlamento polacco prima delle elezioni aveva nominato 5 giudici ma il presidente polacco Andrzej Duda, vicino al Pis, ne aveva bloccato il giuramento sollevando delle questioni di legalità circa il procedimento di selezione. Nonostante la decisione nel mese di novembre della Corte Suprema di ammettere al giuramento 3 dei 5 giudici selezionali, Duda ne ha impedito l’insediamento, salvo poi procedere alla conferma di nuovi cinque giudici scelti dal governo a guida PIS. E intanto in Polonia si invoca il sogno americano, non tanto quello della generazione self made man ma quello di Martin Luter King, di una società libera e democratica capace di mettere al centro la persona e non il potere. Sebbene Barak Obama nel corso della sua conferenza durante il summit Nato non ha espresso grandi preoccupazioni in merito alla vicenda del Tribunale Costituzionale, i cittadini continuano la loro attività di protesta. Nel mese di maggio 240mila persone hanno marciato per le strade di Varsavia in segno di protesta alla deriva autarchica intrapresa dal nuovo governo e manifestando pieno appoggio all’Unione Europea e ai suoi valori costitutivi. La più grande protesta dal 1989, dalla caduta del muro di Berlino quando la Polonia sperava di aver trovato la libertà. E invece tanto ancora c’è da fare.
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