di Fabrizio Di Buono
(BUENOS AIRES) La settimana appena conclusasi qui ha segnato un confine tra l’estate e l’autunno. Cosa ha di particolare questo confine temporale? Da una parte l’accettazione della sua esistenza, dall’altra il suo rifiuto. Nei termini della settimana trascorsa, si traduce con un caldo che non appartiene a disquisizioni climatiche e per stagione, e al fresco che non di certo fa riferimento ad un termometro sociale, che invece segna una evidente idiosincrasia tra la politica economica e sociale del governo di Cambiemos, liderato dall’imprenditore Mauricio Macri, e lo stato reale del paese, alle prese con aumento del costo della vita, contrazione del potere acquisitivo dei salari e una crisi lavorativa in vari settori dell’industria. Da questa mancanza di accordo sul cammino da intraprendere nella vita quotidiana, si sono determinati tre giorni di sciopero, aperti da uno protesta insolita per la vita argentina, lo sciopero del calcio.
Domenica 5 marzo, ore 14 e 45. Scioperano i calciatori
L’assenza è di quelle che si fanno notare, il calcio ogni giorno sembra quasi ronzare per le strade di Buenos Aires; come ritmo di vita scandisce ogni passo e passaggio per le vie della città che nasce e dà le spalle al Rio del Plata: è la voce del pueblo. Il calcio ha scioperato di domenica, nel suo giorno sacrale, istituito quasi per legge divina, raccontata da voci che perdono il sonno della siesta, ansiose di raccontare la gioia, la magia di un tocco, nell’attesa dell’inaspettato che farà gridare migliaia di gole. Forse, come in un racconto di Fontanarossa, se ci fosse stata la ripresa del campionato, molti problemi dell’Argentina non avrebbero avuto il tempo di essere così ampiamente discussi. A fermarsi sono state duecento società professionistiche, che reclamano il pagamento degli stipendi ai calciatori. La situazione è difficile, visto lo stato di profonda crisi di numerose società e la irrisolta questione dei diritti televisivi che coinvolge in prima persona il primo ministro [1]. Nei giorni seguenti allo sciopero, lo stato ha pensato di risolvere con l’erogazione di 362 milioni di pesos (305 mln erogati dal governo, 40 mln erogati da Trisa[2], 7 mln da TyC, per i diritti televisivi esteri, e 10 mln che arrivano dalla compagnia petrolifera privata Axion Energy, che figura come sponsor del campionato) erogati nelle casse dell’AFA (Asociaciòn futbolistica Argentina), al fine di pagare i debiti contratti nei confronti dei calciatori associati e la rescissione del contratto del programma Fútbol Para Todos[3], che riguarda i diritti di trasmissione televisiva delle partite. Tuttavia restano in sospeso 1.200 milioni di pesos che verserà il vincitore dei diritti televisivi. Il primo sciopero, di conseguenza, è rientrato domenica 12 marzo, con la ripresa del campionato. Come conclude Gustavo Veiga dalle colonne di Página 12, «Al fútbol nadie le bajará la persiana. Eso está claro»[4].
6 marzo, ore 7 e 53. Si fermano gli insegnanti
Gli scioperi con maggiore rilevanza sociale non sono stati quelli nelle sale riunioni dei miliardari: sono quelli dei docenti, degli operai e delle donne, avvenuti nei primi tre giorni della settimana, riconsegnando alla città un’altra delle voci che la caratterizzano, la voce dei tamburi, che penetra nelle vie e sembra risuonare anche quando non c’è traccia di manifestazione. La crisi della scuola pubblica in Argentina è un tema che si affronta da diverso tempo. Sempre più maltrattata, con carenza di fondi anche per le infrastrutture e di sostegno per le famiglie in difficoltà economica, porta diverse forze sociali a prendere una posizione. Las Madres de Plaza de Mayo, ad esempio, hanno avviato una raccolta di materiale basico da distribuire agli studenti che non riescono a comprare un kit per iniziare la scuola. Affermando che «tuttavia servirebbero anche i banchi nelle scuole», evidenziano la carenza di risorse. Tuttavia lo scontro verte sull’aumento del salario nei tavoli di trattativa tra Governo e los gremios (i sindacati) che raggruppano i docenti. L’aumento dell’inflazione – che nel 2016 ha raggiunto il 40% -, l’aumento del costo della vita, determinando una perdita del potere d’acquisto dei salari. Pertanto la proposta avanzata dai sindacati è quella di un aumento del 35%, mentre il governo pone un tetto del 18% – valore dell’inflazione che il governo prevede di raggiungere a fine anno -, una controproposta che ignora la perdita del potere d’acquisto registrato in tutto il 2016. Il risultato è stato una mancata negoziazione e uno sciopero di 48 ore che ha ritardato le aperture delle scuole pubbliche. In questo modo, lo sciopero è continuato anche per il 7 marzo.
7 Marzo, 0re 6 e 34. Braccia incrociate per gli operai
Il 7 marzo le strade di Buenos Aires si sono nuovamente bloccate. La protesta ha occupato le strade principali della capitale in una marcia che prevedeva più punti di partenza e una destinazione: il Ministero della Produzione. Molti dei manifestanti non sono mai arrivati alla fine del tragitto per la moltitudine delle persone presenti, un’organizzazione impeccabile delle varie colonne di manifestanti, con una nota negativa avuta nell’indegno tafferuglio finale della manifestazione tra gli stessi dirigenti delle varie correnti della CGT[5], in cui si vive un clima teso per disparità di vedute che poco hanno in comune con la dignità e la lotta di classe che sta intraprendendo la base. Tuttavia allo sciopero hanno partecipato molte sigle politiche, non riconducibili tutte alla CGT, e neanche al blocco kirchnerista. La manifestazione ha così risposto non tanto alla chiamata della CGT, bensì al rifiuto popolare delle politiche del macrismo. Sono queste politiche il fulcro del grande sciopero: gli aggiustamenti strutturali del governo in stile neoliberista, la flessibilità del lavoro, i licenziamenti in aumento, fabbriche che chiudono o sul lastrico per l’apertura non controllata delle importazioni, l’inadempimento della legge di emergenza sociale. Una inchiesta uscita sulle colonne del Tiempo Argentino, nell’ottobre 2016, segnala come la metà dei salari legali si attesta sotto la linea della povertà, cioè sono salari inferiori ai 12.489 pesos (equivalenti a 755 euro), che secondo l’Encuesta Permanente de Hogares dell’Indec (l’istituto di statistica argentino) rappresenta l’ammontare necessario a una famiglia per affrontare le spese alimentari, di trasporti e servizi minimi. A questo si deve aggiungere l’attacco frontale del governo lanciato contro le “fabbriche recuperate”, con un nuovo decreto che favorisce gli imprenditori che avevano portato la fabbrica alla chiusura.
8 marzo, ore 18 e 13. La marcia delle donne
L’8 marzo è stato il giorno della manifestazione più attesa. Già annunciata da tempo, ha riproposto un corteo immenso, dopo quello del 17 ottobre, con molteplici argomenti, attraversano il quotidiano nazionale ed internazionale delle donne, completando tre giorni di intensa mobilitazione, affrontando anche tematiche trasversali alle giornate precedenti. Convocata da NiUnaMenos, la marcia ha reclamato contro la violenza machista, le conseguenze degli aggiustamenti economici che hanno riportato l’Argentina sotto la supervisione del FMI (non entrava in Argentina dal 2003) e la libertà di Milagro Sala, prigioniera politica leader dell’organizzazione Tupac Amaru, in carcere da 417 giorni senza che ci sia stato processo. Un caso, quello di Milagro Sala, che appare come un “uso arbitrario della Giustizia che penalizza oppositori e criminalizza le proteste”, affermano diverse sigle, afferenti ai movimenti per i diritti umani, sindacati e partiti politici della sinistra e che ha fatto pronunciare a favore della sua liberazione anche le Nazioni Unite. In ottobre il numero di femminicidi in meno di tre settimane raggiungeva quota 19 vittime. In Argentina, si attesta che 1 donna viene assassinata ogni 18 ore. Al centro della protesta che ha visto sfilare l’enorme corteo dal Congreso fino a Plaza de Mayo, anche la necessità di legalizzare l’aborto “sicuro e gratuito”, così come un forte accento sull’ingerenza della chiesa (cattolica ed evangelista) nel non promulgare leggi che riguardano le politiche di genere. Tra gli otto assi dello sciopero dell’8-M, letti in Plaza de Mayo, anche la necessità di parlare di lavoro in chiave femminista, in cui si appoggiano le lotte scese in piazza nei giorni precedenti, la reincorporazione delle persone licenziate, così come il riconoscimento economico del lavoro domestico e riproduttivo che le donne realizzano in forma gratuita.
Nella piazza non sono mancati momenti di tensione, come spesso accade, davanti la Cattedrale porteña, che ha visto coinvolti un piccolo gruppo di persone, ma che ha avuto forte risonanza grazie a reti come TeleFe e Canal13 di inclinazione oficialista (filo-governative), nel tentativo di screditare una marcia più che riuscita, con forti e precise richieste politiche. Dall’altra parte, la posizione del Governo si concretizzava nel sostenere che “non c’è motivo di scioperare”, riferendosi ai primi due giorni di protesta, mentre sull’8 marzo, il presidente Macri, assieme alla governatrice di Buenos Aires, Maria Eugenia Vidal, hanno trascorso la ricorrenza in una mensa comunitaria, in un’immagine tradizionale della festa della donna, senza alcuna allusione alla marcia e allo sciopero internazionale, ma concludendo la giornata nella mensa ringraziando le donne per «averci messo al mondo, per darci tanto amore», insomma il focolare casalingo è stato riscaldato. Non lontani, pertanto, sembrano essere gli anni in cui Macri affermava che «in fondo alle donne piace sentire complimenti, […] incluso quando si tratta di grosserie». Ma c’è poco da scherzare: le promesse fatte dai governatori (nazionale e provinciale) non sono state seguite da azioni concrete fino ad ora.
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[1] Basti pensare alla recente notizia dei 70 milioni di pesos di debiti del Correo Argentino di proprietà della Famiglia Macri, condonati e perdonati dal governo, rappresentato dallo stesso Macri – Mauricio – anche lui con un passato importante nel mondo del calcio, quale ex presidente del Boca.
[2] Società del gruppo Clarín (impegnato al momento nel licenziamento del settore grafico AGR Clarín) y Torneos y Competencias (TyC)
[3] Il programma Fútbol Para Todos permetteva l’emissione delle partite attraverso i canali della televisione aperta, dal 2009.
[4] Veiga Gustavo, Vuelve el fútbol después de 80 dias, Página 12, 9 marzo 2017. “Al calcio nessuno abbasserà la saracinesca. Questo è chiaro”.
[5] Confederación General del Trabajo.