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Ha vinto Abate, noi no.

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Settembre02/ 2012

carmine abate

di S. Alfredo Sprovieri

Ha vinto lui ma non noi, siamo alle solite. Carmine Abate, nato a Carfizzi di Crotone è il trionfatore dell’ultima edizione del premio letterario Campiello. E’ ovviamente un’ottima notizia per la Calabria, soprattutto perché Abate scrive da sempre di Calabria, ma anche stavolta dobbiamo chiederci se sia il caso di salire sul carro dei vincitori insieme a lui, visto che andò da via da questa terra giovanissimo, prima per laurearsi a Bari, poi per lavorare in Germania, dove esordì come narratore. Ormai da tantissimi anni vive e insegna a Trento (dove riconoscono – ingiustamente – come “loro” questa vittoria). Ritengo Abate uno straordinario autore e da molti anni leggo i suoi libri. Mai nessuno mi piacque come “Fra i due mari”, ma ricordo con piacere il marmo dell’aeroporto di Valencia dove mi accompagnavano i personaggi de “Il mosaico del tempo grande” e poi via via tutti gli altri che spesso ho dato e ricevuto come regalo. Leggerò, come molti da oggi, il vincitore “La collina del vento” e probabilmente mi convincerò ancor di più in solitudine che anche questa è una vittoria dell’emigrazione e della sua letteratura, quindi intimamente una sconfitta per la Calabria, che lascia andare quando addirittura non ripudia, le sue cose migliori.

Lo so, stavolta Abate – che ha fondato la sua vita da scrittore e da studioso sul racconto dei migranti calabro-albanesi, che non è riuscito a liberarsi della trappola partenza-restanza che ingabbia qualsiasi autore che scrive di Calabria – ha messo in piedi un racconto tutto abbarbicato al territorio, raccontando le gesta secolari di una famiglia che lotta da diverse generazioni per non lasciare il proprio appezzamento di terra. Bello e simbolico che abbia vinto con un romanzo così, che ha anche molti riferimenti al presente della nostra terra, alla minaccia dei prenditori del vento, all’insensibilità verso le rovine magno greche e alla cattiveria delle cosche. Le recensioni sono tutte straordinarie, soprattutto per la scelta di aver dato un taglio noir alla saga familiare (cosa che me lo farà leggere nonostante la promessa di non torturarmi più con libri alla “Canale Mussolini”).

Qual è il problema allora. Il problema è che ancora una volta pare trattarsi di una costruzione omerica, di un racconto di un Sud vissuto dal di dentro delle origini ma vissuto e osservato dal di fuori del distacco. Nei romanzi di Abate (a meno che in questo vincitore non abbia cambiato mira, ci ritorneremo dopo la lettura) emerge il posto e il tempo della tradizione orale e dei ricordi ancestrali, quel posto che non esiste più e non si sa bene se sia mai esistito, una realtà che risulta vincente nel racconto proprio perché galleggia sul corto circuito epico dei “ricordi immaginati”. Un albero di ulivo al tramonto alla base del quale giocano due fanciullini, queste sono immagini tipiche delle sue copertine e dello sfondo narrativo dal quale non riusciamo a liberarci (sì, mi sento uno di questi e per ciò mi torturo ogni volta).

E c’è di più. Se vogliamo certamente calabrese il pilota arrivato all’importante traguardo, dobbiamo accogliere come altrettanto certo il fatto che non lo è la macchina che ce l’ha portato. Senza la potentissima Mondadori questi riconoscimenti sono difficilotti da ottenere, e solo se la vittoria di Abate e la traduzione dei suoi testi in moltissimi paesi sortiranno un effetto Camilleri per i posti e per la miriade di autori e case editrici calabresi che nell’anonimato provano a dimostrare che la Calabria e la sua letteratura esistono anche nel nuovo millennio, ci sarà davvero da esultare come fanno tutti in queste ore.

 

Per la cronaca: Lo scrittore ha avuto 98 voti sui 273 voti arrivati della giuria dei lettori. Al secondo posto Francesca Melandri con ‘Più alto del mare’ (Rizzoli), che ha avuto 58 voti e al terzo Marcello Fois con ‘Nel tempo di mezzo’ (Einaudi), 49 voti. Al quarto Marco Missiroli con ‘Il senso dell’elefante’ (Guanda), e all’ultimo Giovanni Montanaro con ‘Tutti i colori del mondo’ (Feltrinelli), con 32 voti.

«Dedico il Premio a mia moglie e ai miei figli»: così Carmine Abate, supervincitore del Campiello, già nella cinquina nel 2004 con ‘La festa del ritorno’, ha commentato con emozione la vittoria del Supercampiello con ‘La collina del vento’ (Mondadori), al teatro La Fenice di Venezia.

«In questa edizione del cinquantenario la responsabilità di scrivere storie non solo intriganti ma impegnate come questa è ancora più grande. Otto anni fa sono arrivato terzo. Sono proprio felice» ha detto lo scrittore che questa volta ha superato tutti con una storia che racconta cento anni di resistenza ai soprusi attraverso la saga di una famiglia calabrese, gli Arcuri, che su una collina che nasconde molti misteri per più di un secolo assistono a nascite e morti, amori e ferite. «È una famiglia rara, che ci fa sperare», dice Abate.  

    

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