Fuori dal clamore della piazza, c’è anche chi non partecipa, ci sono gli studenti che decidono di entrare e fare lezione normalmente, altri che rimangono a casa, qualcuno che si perde per strada perché la vetrina di un negozio vince sulla necessità di manifestare. Ma c’è un filo conduttore che lega le varie forme di diserzione e sono i ragazzi stessi che ne parlano: una disinformazione dilagante, che assume forme e facce diverse ma che ha la capacità, a più livelli, di produrre lo stesso effetto.
Del dodici ottobre non ne ha parlato nessuno. Non ci sono stati professori che hanno avuto la necessità di spiegare cos’è la politica dell’austerity, di fornire i mezzi conoscitivi per dare la possibilità agli studenti di farsi un’opinione.
Non c’è stata la solidarietà per la formazione di una coscienza di classe, che forse può sembrare una definizione obsoleta e di altri anni, ma che rimane ancora attuale quando si tratta di trasferire i saperi dagli studenti che hanno avvertito la necessità di scendere in piazza a quelli che hanno preferito rimanere a casa. E’ poi c’è ancora la minaccia di quei genitori che comprendono il valore dell’istruzione, costringendo i figli a non assentarsi, ma che non sanno che sarà proprio la mancanza di consapevolezza dello stato attuale delle cose che gli toglierà lentamente la possibilità di accedere alla cultura.
Ci sono stati ragazzi che, nei giorni scorsi, hanno sentito la necessità di discutere della manifestazione, di provare a comprenderne le motivazioni (leggi qui). Ma il tentativo si è arenato proprio per la mancanza di informazione, la mancanza di strumenti per capire. Sono assenti che comunque praticano una forma di resistenza, opponendosi a “queste manifestazioni che nascono e si bloccano a ottobre”, che immaginano di “andare oltre” per poter cambiare le cose, che si vada al di là del pretesto per saltare un giorno di scuola.
E’ pur vero però che nell’era dell’individualismo informatico manca la volontà di cercare i motivi del dissenso collettivo. Sono anni di tranquillità esistenziale, che hanno smarrito la necessità di condividere e di comprendere, che demandano a un altrove virtuale il compito di gestire i conflitti che non hanno mai cessato di esistere. Non si ha più la percezione di una soggettività capace di diventare collettiva e di farsi carico di un cambiamento auspicato, ma che non trova il coraggio di concretizzarsi.
La connessione da social network, che pure è stata in grado di assumere forme inedite di partecipazione dal basso e mantiene un alto potenziale di cambiamento, si sfalda prima di trasformarsi in corteo, dimostrando che probabilmente le manifestazioni nelle piazze hanno finito il loro corso e c’è bisogno di un modo nuovo d’immaginare le rivoluzioni.