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Questo giornalismo deve morire

admin
Marzo11/ 2013

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di Sergio Conti

I compagni di banco te li assegna la sorte, oppure il professore. Ma un pizzico di fiuto ti fa intuire quelli che saranno compagni di banco per sempre. Alfredo è fra questi miei, anche se il professore avrebbe voluto un altro compagno di banco per me, nella pur affascinante e troppo breve esperienza in una redazione locale. Lì, per la prima volta, capii che il giornalismo stava tramontando. E oggi il tramonto è già buio pesto. In breve: le aziende che producono informazione sono in perdita, perché i giornali non li legge nessuno (pur permanendo le sovvenzioni pubbliche), le tv non le guarda quasi più nessuno e comunque la raccolta pubblicitaria è in forte calo in tutto il Paese. Si fa in fretta a liquidare la pratica con un “è finita”. Ma è finita da un pezzo, anche se qualcuno continua a farci i soldi con il nostro inutile e non o mal retribuito lavoro. La casta dei giornalisti smette di esistere perché non ci sono più denari a pagare l’elefantiaca macchina dei privilegi, degli Ordini, delle professioni appannaggio di questo o quello per nulla meritevoli, ma molto amici di amici di amici. Si è sgretolata, la casta, e questi convegni appaiono ai più fini lettori di dinamiche sociali come il rantolo di un ferito a morte prima della cessazione di ogni funzione vitale.

Il mercato un tempo era disposto a pagare per quella risorsa che scarseggiava: le notizie. Ce le avevano in pochi, dovevi alzare il culo dalla sedia per andare a cercartele e le tue fonti erano preziose, una vera ricchezza l’agenda telefonica piena zeppa di numeri che custodivi gelosamente. Un tempo la notizia era equivalente a un lingotto d’oro, tanto valeva e pesava, poteva essere nascosta, data, data a metà, omessa, usata come arma per ricattare qualcuno. Era potente. Ma oggi la notizia è alla portata di tutti, chiunque può dare una notizia, difficile nasconderla. C’è sovrabbondanza e nessuno è più disposto a pagare un caro prezzo per un prodotto che si trova in abbondanza. È la legge del mercato, non possiamo farci niente, nemmeno le nostre passioni possono farci niente.

Uno degli sport preferiti degli italiani è cercare un capro espiatorio: a questo punto sarebbe troppo sin facile attribuire tutte le responsabilità a Internet, Facebook, Twitter, etc. Io dico che appena saranno caduti gli Ordini professionali, appena saranno aboliti i finanziamenti pubblici ai giornali e lo Stato avrà investito risorse sulla banda larga, appena il mondo si sarà consegnato a un vero liberismo in cui il mercato (non inquinato dalla politica) detterà le sue regole ferree, i Giornalisti saranno sopravvissuti. E si conteranno sulle dita di una mano. E forse anche le dita di una mano saranno troppe. Rimarranno i migliori, quelli che piacciono alla gente o più semplicemente quelli che troveranno un modo più originale di leggere e raccontare i “fatti” rispetto ad altri. In molti (colleghi e testate) scompariranno, per qualcuno ci dispiacerà anche. Ma per la stragrande maggioranza diremo “potevamo farne a meno, non ne sentiamo affatto la mancanza”. Sarà il mercato a dirlo, l’unico, vero e finora drogato testimone di questo passaggio epocale. Dai media alle notizie a portata di tutti. A costo zero.

 

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Sergio Conti non è solo un amico, è un giornalista di riconosciuto valore, un uomo che non può essere accusato di gridare all’amaro dell’uva che non raggiunse, perché il frutto dello sfruttamento l’ha sputato di bocca quando nessuno gliel’avrebbe potuto portare via. A mio avviso ha ragione su molti punti, soprattutto quando chiede all’Italia di abbandonare vetuste formule che sbarrano l’ingresso alla professione e quando chiede che si ponga fine alle ruberie di Stato, ma non la pensiamo esattamente allo stesso modo. Quello che per lui è cura per me è veleno. L’anima del libero mercato non può aiutare il giornalismo italiano semplicemente perché è quello che l’ha affossato. Non aver saputo proteggere un sistema fondamentale per lo sviluppo democratico dall’assalto dei poteri economici è stato l’inizio della fine. Una buona politica si sarebbe dovuta opporre alla cattiva politica garantendo l’indipendenza del singolo giornalista e quindi dell’informazione. Troppo facile credere che una mano invisibile riequilibri tutto nel pluralismo. Le bugie restano bugie, anche se sono in tanti e da punti diversi a dirle. La stampa inoltre, non è nata con Guttemberg e non morirà con Zuckemberg, avrà bisogno di trovare solo nuove forme efficaci. Secondo me da una prima fase di citizens journalism si va verso un giornalismo partecipato, il giornalista insieme al lettore in una forma più aperta di interazione; del resto la stessa Rete è formata da un 10% di influencer, e dal 90% di consumatori. Dal 1980 al 2008 il consumo d’informazione è aumentato del 350%, anche se sono drammaticamente crollati i ricavi, un apparente controsenso. Il dato è spiegato nel “Manifesto XXI – Un altro giornalismo è possibile” uscito in Francia di recente. Nelle prime righe campeggia una frase del filosofo Jacques Ellul che sembra rassicurarti, caro Sergio: “Ciò che ci minaccia non è l’eccesso di informazione, ma l’eccesso d’insignificanza“. (sas)

 

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