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L’antagonismo ha bisogno di nuove idee

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Novembre14/ 2013

19ottobre

di Edoardo Gallo

Dopo i recenti eventi e manifestazioni, alcune considerazioni sui movimenti antagonisti in Italia.

La dinamica centrale dello scontro tra i movimenti antagonisti e il potere localizzato in ogni dove, nella migliore traduzione foucoltiana, rischia di presentarsi oggi come una coazione a ripetere autoreferenziale. Quello che risulta sterile di tale dinamica è la prevedibilità dello stimolo antagonista, che si manifesta con forme che hanno aspetti anacronistici, e la risposta del tutto ovvia di un sistema repressivo che conosce a memoria le possibili attualizzazioni delle rimostranze movimentistiche.

Basta guardare ad uno dei casi più radicali, la lotta contro l’alta velocità in Val di Susa, una lotta pratica relativa all’autonomia della popolazione rispetto alle scelte che lo Stato ed altri soggetti hanno fatto. In questo caso, lo Stato italiano non è protagonista di una scelta politica, ma mero veicolo di interessi economico-finanziari, nonostante la retorica del progresso propinata. Gli scontri con la polizia divengono così ancora più alienati di quanto già non siano. Il poliziotto picchia non per valori quali patria, chiesa, famiglia, ma per un gruppo ristretto di soggetti e interessi lontano da lui ontologicamente e ideologicamente. La popolazione lotta nella direzione giusta, ma non sappiamo quali siano le scelte che l’abbiano determinata, se l’induzione da lotta particolare ad atto di emancipazione generale, oppure la semplice scelta dell’opposizione determinata e vitale fino a quando lo scontro sarà concluso.

In generale, per i movimenti, si denota una riproposizione delle stesse forme di lotta di 40 anni fa, ed un’assenza di una sintesi politica. Ciò che non ritroviamo è un’induzione vera e propria dalle condizioni particolari in cui questi fenomeni sì inseriscono, fino ad una visione dei processi di cui tutti questi fenomeni si fanno portatori. Ridurre le lotte a gestioni e risoluzioni parziali di singoli settori problematici si presenta come evanescente e senza di finalità politiche. Indipendentemente dai risultati a breve termine che si possono ottenere, comunque positivi in un’economia della sofferenza sociale, ci si ritrova poi a non avere né un modello di società da perseguire e per cui lottare, né un fulcro teorico solido necessario all’attualizzazione di una prassi soggettiva e poi collettiva.

Interagire come pianeti e satelliti che entrano in contatto solo grazie a forze gravitazionali esterne è insufficiente per divenire rilevanti, anzi denota l’assenza di una forza unificatrice di questi soggetti, che si parlano solo per organizzare e gestire eventi (sfortunatamente non nel senso derridiano del termine). Questo carattere strettamente simbolico ancora forte, non ha più l’incisività di un tempo. Manifestare è fondamentale per dimostrare un dissenso ed “una presenza nell’assenza”, atto fondante del registro simbolico. Ciò che però in questo momento manca è la riflessione su che ruolo abbia il simbolico nel quotidiano, in particolare il Grande Altro dei movimenti rispetto all’immaginario pubblico, caratterizzato dal Grande Altro capitalista.

Una società dove il primato della biopolitica ha ridotto il “pubblico” ad immagine sterilizzata come nella Pop-art di Warhol e il privato a manifestazione interiorizzata delle forme repressive e di dominio, il registro simbolico è privato delle sue stesse forze e l’immaginario è tutto. Basti pensare a come i giornali italiani hanno descritto la manifestazione del 19 ottobre. La loro funzione palese è stata quella di catturare “immagini”, con un carattere feticista supremo, preferibilmente di scontri per amplificarlo e farlo realtà. La brutalità dell’immagine è proprio questa, priva la realtà umana della sua connotazione politica e ne fa denotazione pura e semplice: Assedio al Ministero delle Finanze! La privazione del significato simbolico rende tutto vuoto, anche le ragioni sacrosante di quelle persone che hanno manifestato in rappresentanza di una popolazione isterica e addormentata da un dibattito politico pubblico ammuffito, proprio di un potere la cui propria retorica elitaria, come nel migliore dei regimi, si è fatta egemone anche nelle fasce sociali subordinate.

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Da sinistra a destra, uno degli incontri di Agora99 e il comizio finale di Renzi alla Leopolda2013

Ancor più evidente il confronto tra la Leopolda 2013 convention del Partito Democratico, ed Agora99, una tre giorni di incontri tra i movimenti anticapitalisti d’europa. La prima una confezione barocca della nuova borghesia elitaria, forma senza alcun contenuto sostanziale e sostanzioso. Al contrario Agora99 portava in sé un significato simbolico imponente: l’incontro di soggetti da tutto il mondo che condividono un dissenso radicale, che sentono la stessa necessità di lottare con i mezzi a loro disposizione le dinamiche fasciste su scala globale (il fascismo inteso come la mano repressiva della forza economica capitalista). Qual è però l’impatto rilevante tra gli stessi movimenti di questa tre giorni?  Riformulare un’etica politica inter-soggettiva e intra-soggettiva, porre al centro del dibattito nuove forme di lotta senza dimenticare la necessaria formulazione di nuove forme di esistenza comune, non oasi nel deserto slegate dal loro contesto territoriale, ma “porti” dove l’apertura e il riconoscimento delle soggettività altre siano la base delle lotte di emancipazione.

Continuare a scontrarsi con un muro, effettivamente di gomma, è un esercizio di stile inutile e preoccupante. Per dirla con Lacan: “Se otteniamo la risposta che aspettiamo, si tratta veramente di una risposta?” E noi potremmo continuare: “Stiamo veramente facendo la domanda giusta?”

 

LEGGI ANCHE: “Pietre e parole, il compito di classe“.

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