La puntata di “Presa Diretta”, andata in onda domenica sera su Rai 3, ci ha mostrato una Calabria problematica, ma ricca di tesori sconosciuti e di inespresse virtualità. È il ritorno in brutta copia di un “pensiero meridiano” depurato del suo nucleo politico (il protagonismo vivo delle città), e ripassato al setaccio di una retorica che da anni vede nella valorizzazione dei beni culturali la chiave del riscatto. Una prima panoramica sulla complicata situazione idrogeologica ha messo in luce l’enorme paradosso calabro: si spende tanto lavorando in emergenza, mentre si potrebbe pagare molto di meno, e con risultati migliori, in un regime amministrativo ordinario. Vero! Ma è qui il problema: lavorare in emergenza è da scemi, oppure l’emergenza è una tecnica razionale di governo, l’unica che il Meridione pratica da oltre mezzo secolo, e che consiste nell’amministrare il disordine senza mai prevenirlo? Ricordate cosa disse il poliziotto interrogato sugli episodi di violenza avvenuti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova? “L’obiettivo della polizia non è quello di garantire l’ordine, bensì quello di gestire il disordine”. Quanta verità in quelle parole…
Dopo una lunga pausa, frutto di un problema tecnico, si passa alla seconda parte del servizio dedicato alla Calabria. Il turismo sano e la valorizzazione dei patrimoni culturali come chiavi del riscatto socio-economico: ecco il tema. Anche in questo caso alcuni riferimenti significativi vengono mostrati nel servizio di Iacona: il borgo di Altomonte, alcune aree archeologiche, un agriturismo nella Valle dell’Amendolea, ecc. Anche qui il problema non cambia. Ma il servizio, per com’è costruito, non ci aiuta a capire. Come si è amministrato in questi anni il settore cultura in Calabria? Diciamolo senza indugi: puntando sull’episodicità e sul ritorno d’immagine (grandi eventi), senza investire sulla valorizzazione delle produzioni e sui processi di formazione di lunga durata. Da qui il proliferare di retoriche tradizionalistiche e neo-identitarie (il paese della tarantella, la patria del peperoncino, ecc.), la nascita di feticci culturali e l’adesione al mito di una modernità spettacolare tanto più angusta e provinciale quanto più globalizzata. Perché allora si continua, un po’ ovunque, a operare in regime di emergenza? A chi fa comodo questa situazione di precarietà permanente? La mia idea è che solo se si supera lo stato di emergenza permanente, ribaltando i poteri che da esso traggono benefici, si potrà seriamente riparlare di turismo, cura dei luoghi, produzioni locali, ecc. Ma per fare questo c’è bisogno di un grande atto di insorgenza urbana e civile. Uno stato di eccezione alla rovescia: dalla parte dei molti e non dei pochi, delle città e non dei potentati locali, a sostegno di una cultura dell’abitare e non di un’incultura feticistica e spettacolare. In assenza di ciò, i bei tesori della Calabria continueranno ad alimentare fantasmagoriche rappresentazioni.
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DOLCENERA | Presa Diretta, perché siamo condannati a viver male?
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di Francesco Lesce*
La puntata di “Presa Diretta”, andata in onda domenica sera su Rai 3, ci ha mostrato una Calabria problematica, ma ricca di tesori sconosciuti e di inespresse virtualità. È il ritorno in brutta copia di un “pensiero meridiano” depurato del suo nucleo politico (il protagonismo vivo delle città), e ripassato al setaccio di una retorica che da anni vede nella valorizzazione dei beni culturali la chiave del riscatto. Una prima panoramica sulla complicata situazione idrogeologica ha messo in luce l’enorme paradosso calabro: si spende tanto lavorando in emergenza, mentre si potrebbe pagare molto di meno, e con risultati migliori, in un regime amministrativo ordinario. Vero! Ma è qui il problema: lavorare in emergenza è da scemi, oppure l’emergenza è una tecnica razionale di governo, l’unica che il Meridione pratica da oltre mezzo secolo, e che consiste nell’amministrare il disordine senza mai prevenirlo? Ricordate cosa disse il poliziotto interrogato sugli episodi di violenza avvenuti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova? “L’obiettivo della polizia non è quello di garantire l’ordine, bensì quello di gestire il disordine”. Quanta verità in quelle parole…
Dopo una lunga pausa, frutto di un problema tecnico, si passa alla seconda parte del servizio dedicato alla Calabria. Il turismo sano e la valorizzazione dei patrimoni culturali come chiavi del riscatto socio-economico: ecco il tema. Anche in questo caso alcuni riferimenti significativi vengono mostrati nel servizio di Iacona: il borgo di Altomonte, alcune aree archeologiche, un agriturismo nella Valle dell’Amendolea, ecc. Anche qui il problema non cambia. Ma il servizio, per com’è costruito, non ci aiuta a capire. Come si è amministrato in questi anni il settore cultura in Calabria? Diciamolo senza indugi: puntando sull’episodicità e sul ritorno d’immagine (grandi eventi), senza investire sulla valorizzazione delle produzioni e sui processi di formazione di lunga durata. Da qui il proliferare di retoriche tradizionalistiche e neo-identitarie (il paese della tarantella, la patria del peperoncino, ecc.), la nascita di feticci culturali e l’adesione al mito di una modernità spettacolare tanto più angusta e provinciale quanto più globalizzata. Perché allora si continua, un po’ ovunque, a operare in regime di emergenza? A chi fa comodo questa situazione di precarietà permanente? La mia idea è che solo se si supera lo stato di emergenza permanente, ribaltando i poteri che da esso traggono benefici, si potrà seriamente riparlare di turismo, cura dei luoghi, produzioni locali, ecc. Ma per fare questo c’è bisogno di un grande atto di insorgenza urbana e civile. Uno stato di eccezione alla rovescia: dalla parte dei molti e non dei pochi, delle città e non dei potentati locali, a sostegno di una cultura dell’abitare e non di un’incultura feticistica e spettacolare. In assenza di ciò, i bei tesori della Calabria continueranno ad alimentare fantasmagoriche rappresentazioni.
*ricercatore Università della Calabria
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