di Andrea Mammone
Sta arrivando Natale e l’aria stanotte è molto fredda. Decido di prendere un taxi giallo. Il tassista mi parla di Fidel e della storia “vera” letta su “Internet”, in un sito dove loro che scrivono i commenti si commentano e fanno i commenti ad altri commenti che poi vengo commentati da altri commentatori. Poi attacca con Donald Trump e il mito della grande America e che lui aveva fatto tutte le cose in regola quando era entrato negli Stati Uniti mentre gli altri… Faccio fermare la macchina, pago e scendo – altrimenti sono io a portarlo di forza oltre il confine messicano.
Ero uscito sperando in note elettroniche che mi aiutassero nella ricerca di quello che avevo e, allo stesso tempo, non avevo. Eppure ero fondamentalmente in pace con me stesso. Invece arrivo al locale e iniziano col jazz. Sale James sul palco:
– “Give me the sound baby”.
Attacca il sax del Mister. Alfo, il proprietario del posto, è alla batteria. Jade, bionda, bellissima come sempre, alla tromba. Li avevo ascoltati suonare per caso qualche anno prima sul fiume Hudson. Erano un collettivo di musicisti incontratisi nella metropolitana di New York e per strada. Quando suonavano all’Old Square Beats, vicino a Williamsburg Bridge, dalla parte “giusta” del ponte, era però diverso. I locali di Brooklyn sono tutti uguali, e tutti diversi. In questo si alternano molti tipi di musica. È come ascoltare “Walk This Way” dei Run-DMC con gli Aerosmith. Non sai mai che aspettarti. Neanche io sapevo cosa aspettarmi stasera. Entro ovunque, perché mio fratello conosce tutti. Siedo al bancone con una birra (una Brooklyn, of course), prendendo appunti e cercando di distrarmi da quei cretini che continuano a insultare il mio articolo sugli abitanti di Aleppo (saranno forse amici del tassista?). Per fortuna Jade, quando finisce di suonare, viene a mettersi vicino a me. Rone, un dj francese (dicono sia molto bravo), mette un suo pezzo del 2009 che si chiama Bora Vocal (con testo e voce dello scrittore Alain Damasio). Era la musica elettronica minimal che cercavo. Jade mi parla così vicino che potremmo baciarci, facendo sembrare la cosa una continuazione, naturale, del discorso. Avrei voglia, ma resisto. Scatto in piedi e vado fuori a fumare. Tornano i fantasmi: Brexit, Trump, xenofobia. Passa Stefano, dovrebbe essere il suo turno a mettere i dischi. È un tipo con i baffi, non molto alto, che ci da sempre un sacco di dritte. Mi vede pensieroso e dice: “Alla negatività bisogna rispondere con la positività”. Solo una politica di emozioni diverse può salvarci, e la vita è comunque breve per rovinarla con inutili futilità.
In quel preciso momento la vedo entrare nel locale con un gruppo di ragazzi del Queens. Sembra un cerbiatto e una principessa indiana. Rientro dopo qualche minuto. Sola, in un lato della pista. Non balla, muove semplicemente fasci di luce che allontanano tutti quelli che provano ad avvicinarsi. L’avevo incontrata un mese prima a NYU a un seminario sull’Argentina. Ogni volta che mi giravo verso di lei notavo che mi guardava, e viceversa, probabilmente. Sembravamo due magneti che non avevano il coraggio di attaccarsi – forse perché nessuno percepiva appieno da che galassia precisa provenisse l’altro, quasi come se la certezza fosse l’unico elemento per scoprire il mondo. Eppure averla rivista mi ha fatto dimenticare che ero scappato in America per poi ritrovarmi Trump. Ma Stefano aveva ragione: prova a cercare un’emozione differente da contrapporre a quella negativa! Resto imbambolato a pensare per trenta minuti. Alla fine si avvicina lei.
Jade se ne è invece andata, incazzata e senza salutarmi. Sul palco è intanto arrivata una nuova cantante, bassina, Valentina. Aveva gli occhi chiari, di un colore particolare, un fiore nei capelli e, come Stefano, viene da Paradise City. Mi ricorda qualcosa del mio passato. Sorride così tanto che sembra voglia insegnarci l’arte della non disperazione (la felicità è cosa diversa e ognuno ha le chiavi della propria). Canta “Nothing’s Gonna Hurt You Baby” dei Cigarettes After Sex. Noi due continuiamo a parlare. Prima di andarsene prende il mio numero e mi abbraccia intensamente, come se ci frequentassimo da anni. Non me l’aspettavo. Le chiedo se vuole passare qualche altra serata con i dischi di Stefano e i sorrisi di Valentina.
– “Per quello devi parlare con le stelle”.
Almeno stasera ho capito dove guardare per scacciare gli gnomi e i fantasmi dal cielo.
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Il collettivo Mmasciata è un movimento di cultura giovanile nato nel 2002 in #Calabria. Si occupa di mediattivismo: LA NOSTRA VITA E' LA NOTIZIA PIU' IMPORTANTE.
PLAYLIST | Dal lato giusto del ponte
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di Andrea Mammone
Sta arrivando Natale e l’aria stanotte è molto fredda. Decido di prendere un taxi giallo. Il tassista mi parla di Fidel e della storia “vera” letta su “Internet”, in un sito dove loro che scrivono i commenti si commentano e fanno i commenti ad altri commenti che poi vengo commentati da altri commentatori. Poi attacca con Donald Trump e il mito della grande America e che lui aveva fatto tutte le cose in regola quando era entrato negli Stati Uniti mentre gli altri… Faccio fermare la macchina, pago e scendo – altrimenti sono io a portarlo di forza oltre il confine messicano.
Ero uscito sperando in note elettroniche che mi aiutassero nella ricerca di quello che avevo e, allo stesso tempo, non avevo. Eppure ero fondamentalmente in pace con me stesso. Invece arrivo al locale e iniziano col jazz. Sale James sul palco:
Attacca il sax del Mister. Alfo, il proprietario del posto, è alla batteria. Jade, bionda, bellissima come sempre, alla tromba. Li avevo ascoltati suonare per caso qualche anno prima sul fiume Hudson. Erano un collettivo di musicisti incontratisi nella metropolitana di New York e per strada. Quando suonavano all’Old Square Beats, vicino a Williamsburg Bridge, dalla parte “giusta” del ponte, era però diverso. I locali di Brooklyn sono tutti uguali, e tutti diversi. In questo si alternano molti tipi di musica. È come ascoltare “Walk This Way” dei Run-DMC con gli Aerosmith. Non sai mai che aspettarti. Neanche io sapevo cosa aspettarmi stasera. Entro ovunque, perché mio fratello conosce tutti. Siedo al bancone con una birra (una Brooklyn, of course), prendendo appunti e cercando di distrarmi da quei cretini che continuano a insultare il mio articolo sugli abitanti di Aleppo (saranno forse amici del tassista?). Per fortuna Jade, quando finisce di suonare, viene a mettersi vicino a me. Rone, un dj francese (dicono sia molto bravo), mette un suo pezzo del 2009 che si chiama Bora Vocal (con testo e voce dello scrittore Alain Damasio). Era la musica elettronica minimal che cercavo. Jade mi parla così vicino che potremmo baciarci, facendo sembrare la cosa una continuazione, naturale, del discorso. Avrei voglia, ma resisto. Scatto in piedi e vado fuori a fumare. Tornano i fantasmi: Brexit, Trump, xenofobia. Passa Stefano, dovrebbe essere il suo turno a mettere i dischi. È un tipo con i baffi, non molto alto, che ci da sempre un sacco di dritte. Mi vede pensieroso e dice: “Alla negatività bisogna rispondere con la positività”. Solo una politica di emozioni diverse può salvarci, e la vita è comunque breve per rovinarla con inutili futilità.
In quel preciso momento la vedo entrare nel locale con un gruppo di ragazzi del Queens. Sembra un cerbiatto e una principessa indiana. Rientro dopo qualche minuto. Sola, in un lato della pista. Non balla, muove semplicemente fasci di luce che allontanano tutti quelli che provano ad avvicinarsi. L’avevo incontrata un mese prima a NYU a un seminario sull’Argentina. Ogni volta che mi giravo verso di lei notavo che mi guardava, e viceversa, probabilmente. Sembravamo due magneti che non avevano il coraggio di attaccarsi – forse perché nessuno percepiva appieno da che galassia precisa provenisse l’altro, quasi come se la certezza fosse l’unico elemento per scoprire il mondo. Eppure averla rivista mi ha fatto dimenticare che ero scappato in America per poi ritrovarmi Trump. Ma Stefano aveva ragione: prova a cercare un’emozione differente da contrapporre a quella negativa! Resto imbambolato a pensare per trenta minuti. Alla fine si avvicina lei.
Jade se ne è invece andata, incazzata e senza salutarmi. Sul palco è intanto arrivata una nuova cantante, bassina, Valentina. Aveva gli occhi chiari, di un colore particolare, un fiore nei capelli e, come Stefano, viene da Paradise City. Mi ricorda qualcosa del mio passato. Sorride così tanto che sembra voglia insegnarci l’arte della non disperazione (la felicità è cosa diversa e ognuno ha le chiavi della propria). Canta “Nothing’s Gonna Hurt You Baby” dei Cigarettes After Sex. Noi due continuiamo a parlare. Prima di andarsene prende il mio numero e mi abbraccia intensamente, come se ci frequentassimo da anni. Non me l’aspettavo. Le chiedo se vuole passare qualche altra serata con i dischi di Stefano e i sorrisi di Valentina.
Almeno stasera ho capito dove guardare per scacciare gli gnomi e i fantasmi dal cielo.
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