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La nostra Alimonda

admin
Luglio21/ 2012

piazza alimonda

di S. Alfredo Sprovieri

Alimonda Gaetano, vescovo. Giuliani Carlo, ragazzo. Non posso dire c’ero, vorrei poter dire ho capito, devo dire ricordo.

Notti passate a rivedere articoli, documenti e filmati, ad allargare la memoria sui fatti di Genova del 2001. In quelle mattine di luglio ero stato al bar a prendermi la maturità; è lì, perché si stava più freschi, che cercavo di spiegare al presidente di commissione perché avevo iniziato il tema con la frase “L’Europa non può stare nel portafogli” e perché la mia tesina riproponeva l’attualità della “crisi dell’uomo nella società capitalistica”. Mi piaceva sfidarlo, non lo conoscevo ed ero colpito dall’apertura di credito che mi dimostrava. Di tutti gli altri professori non mi curavo. Non gli erano bastate tutte le mattine dei precedenti 5 anni per imparare il mio nome, i loro voti non avrebbero mai avuto influenza alcuna sulla mia vera maturità.

Ce n’andammo al mare, dove restavamo incollati allo schermo in silenzio. Mi ricordai del fumo a via D’Amelio, di mio nonno che quella volta qualcosa la voleva dire, ma non poteva. Ho capito lo stesso caro nonno, ma solo ora. Gli alternativi ci aspettavano alla stazione la sera del 19 luglio, la rabbia per la morte di Carlo faceva dire a tutti che non bisognava più andarci in quelle trappole per topi. Quelli più distaccati dagli eventi, anche a casa, si dividevano. Chi difendeva le ragioni di una città ferita, di uomini che dovevano difenderla dai saccheggi, lo faceva puntando sull’estintore e sul passamontagna, parlava del fatto che se assalti un uomo armato puoi aspettarti che quello ti spari. La tv portava la maggioranza silenziosa del paese, la borghesia gentile, a quella conclusione. Avevo 18 anni e molta confusione, davo ragioni a fase alterne, ma sono contento che anche da adolescenti eravamo certi che la colpa principale fosse di chi aveva orchestrato quell’inferno.

Ora penso a cosa ne sa chi ha 19 anni oggi, e mi chiedo cosa possa generare per la sua maturità il fatto che per la tortura all’inerme carne da macello della Diaz sono arrivate promozioni e prescrizioni, mentre anni di galera toccheranno a chi ha devastato e saccheggiato la città. E’ incredibile, nel paradigma cose-persone mi pare ci stia tutto dentro, e non sono in grado di aggiungere nulla di nuovo e migliore a tutto ciò che è stato scritto e ricostruito su quegli eventi, e nemmeno servirebbe.

In questi undici anni, crescendo, quelli della mia generazione hanno visto maturare i colpi di coda di quel conflitto irrisolto; tante piccole rese dei conti alla ricerca di scenari e pretesti sempre nuovi. Quando c’ero, in queste piccole Genova, ho saputo guardare alla virtù degli uomini e non degli schieramenti, pur sempre sapendo che le forze dell’ordine sono un apparato repressivo dello Stato a difesa del monopolio della forza. Partendo da questo punto mi sono però sempre convinto che il problema stia nella legittimazione di questo assunto dello stato di diritto. Nel nostro Paese è un asse pericolosamente incrinato da 40 anni, e molto è dovuto alla crisi dell’informazione. All’incapacità di raccontare i fatti.

Per quanto riguarda le opinioni invece, forse la cosa che più fa rabbia è che le ragioni di quella protesta eclatante, pacifica per quanto riguarda decine di migliaia di persone da tutto il mondo, siano state relegate nel sottoscala della storia. Invece andavano discusse a fondo e se, come credo, il fatto che non sia avvenuto era lo scopo ultimo dei burattinai di quella stagione – un attentato al cuore della sfera pubblica italiana – non si può permettere che l’abbiano vinta ancora a lungo.

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