Quando c’era da non andare a scuola noi nemmeno ci avvicinavamo agli assembramenti che coloravano il cortile. A nostro agio in un periodo post-ideologico, compravamo il giornale sportivo e andavamo a casa di Igor, dove lo si leggeva insieme in attesa di Marco con i cornetti caldi. Durava poco, non immaginate come e quanto correva Marco, chissà dov’è arrivato a quest’ora. Allora lo chiamavamo tutti per cognome e lui ricambiava al citofono; mentre faceva le scale a quattro a quattro fino al sesto piano noi mettevamo su la videocassetta. In età pre-pornografica, invece di andare a scuola guardavamo i film con Silvio Orlando sull’inadeguatezza della scuola. Poi, col sole alto, andavamo a giocare per strada a pallone. Ho fatto centinaia di manifestazioni in questi anni ma quella con Marco e Igor mi pare ancora la più bella forma di protesta del mondo. In una mattinata di quelle disintegrai con un rasoterra di destro il vocabolario d’italiano che faceva da palo sinistro; mamma al fatto che ancora ci fosse in giro chi rubava i vocabolari d’italiano non credeva molto e non me lo ricomprò. Fino ad oggi ho imparato a farne a meno sia sui campetti improvvisati sia sulla formica dei banchi di prova della vita.
In queste settimane intanto vanno di scena le occupazioni degli istituti e le manifestazioni studentesche, come ogni anno, come in quegli anni. Nei tiggì della sera si parla ancora di Università della Calabria come covo di sovversione e antagonismo mentre ancora a Roma molte centinaia di persone sono accampate davanti ai palazzi del potere, rivendicando i propri diritti contro le politiche di austerità. E’ successo in molte parti del mondo in questi meschini ultimi tempi, i media nazionali ce li hanno raccontati poco e con una certa invidia, come a suggerire che da noi cose così non sono possibili. Quando si è trattato invece di raccontare che poteva succedere anche qui è andato in onda lo sceneggiato che ci propinano da decine di anni. Nascondono le ragioni di decine di migliaia di manifestanti pacifici dietro l’ombra di un centinaio di violenti. Moltitudini di parole cancellate dalla solitudine di una pietra. Ci riescono ogni volta, ma grazie ai social network sempre un po’ di meno.
Gian Antonio Stella sul Corsera ha cercato di spiegare, almeno secondo il suo punto di vista, perché gli studenti calabresi che hanno contestato il ministro Carrozza hanno sbagliato obiettivo delle loro proteste. Il giornalista terrore della casta ha fatto inalberare Giovanni Latorre, rettore più longevo del creato, e ha trovato incredibile che gli studenti calabresi (badate, non gli studenti italiani) non si sollevino per una migliore didattica dell’ateneo e per tutta la marea di problemi che attanagliano la realtà accademica locale. In buona sostanza vuol far sapere agli studenti calabresi che il pesce puzza dalla coda e per dirglielo sceglie i dati che più fanno comodo alla sua tesi. Facile, ma non per questo immondo.
Potrebbe comunque essere un’occasione per iniziare una bella discussione sulla 40enne Unical , rimetterla in discussione profondamente, proprio perché è così importante. In fondo una pietra e un uovo hanno suscitato un corsivo di un’icona di Via Solferino come non lo avevano fatto le battaglie di questi decenni sul Ponte Bucci. Siamo alle solite di cui sopra, cercando di inquadrare il ragazzo incappucciato ci siamo persi anche la storia dei migliaia Raffaele Pennacchio, il medico campano malato di sla morto dopo due giorni di presidio davanti al ministero dell’economia. Forse è che comunque bisognerebbe ripensarle le sacrosante proteste, immaginarle nuove, come fanno in altre parti del mondo.
Alla testa di una rivoluzione vinta dagli studenti ad esempio, con i ministri in ginocchio ai nostri piedi, io oggi saprei cosa pretendere per prima cosa. Mi farei portare nelle stanze dove conservano i temi d’italiano senza vocabolario della mia generazione. Voglio immaginare che non li abbiano distrutti, che ancora esistono in stanzoni enormi, pieni di vento che solleva polvere e pagine dalle altissime pile di scatoli inumiditi dalle lacrime del tempo sprecato. Se ci sono devono essere presidiate da uomini armati fino ai denti, perché quegli stanzoni custodiscono il tesoro più prezioso di cui ci hanno privato. In quella stanza, in mezzo a miliardi di errori ortografici, riposano milioni di idee e sogni traditi.
Il primo impegno del governo rivoluzionario degli studenti sarebbe rispedire il tutto ai legittimi proprietari. I compiti a casa. Sarebbe molto più di un gesto simbolico, un compito in classe che assolve un compito di classe; ognuno di noi, non riconoscendosi in ciò che è diventato, potrebbe ritrovare se stesso in ciò che più ha desiderato.
E da lì ricominciare.
Leggi anche: Scuola, dove sono i nuovi sognatori?
Antonio
11 anni agoComplimenti per l’articolo. Molto interessante. Continuate cos
alfredo sprovieri
11 anni agograzie Antonio, andiamo avanti insieme.