Si era trasferito in un poto incantevole sulla Costa Azzurra, lì immondizia per le strade non ce n’è. Il suo paese alle falde dell’Aspromonte l’aveva lasciato dopo che, secondo l’inchiesta denominata Rifiuti Spa, ne ha controllato vita morte e miracoli attraverso il business dei rifiuti. Insieme alla moglie e ad altre 22 persone è finito in manette in conclusioni delle indagini di “Rifiuti Spa 2”, che hanno squarciato il velo sulla gestione mafiosa delle discariche e dello smaltimento dei rifiuti nel territorio reggino.
Capi mafia, rapaci imprenditori del Nord, amministratori giudiziari, sindaci e avvocati. Una terribile fotografia sul sistema di connivenze che avvelena la Calabria. L’indagine è la continuazione dell’attività investigativa denominata “Rifiuti Spa” che, nel 2006, aveva accertato l’esistenza di un accordo trasversale tra le cosche per papparsi i milioni prodotti dalla gestione fraudolenta delle discariche presenti nel territorio regionale. In tale contesto, l’imprenditore Matteo Alampi, ritenuto presunto boss e titolare della società “Edilprimavera”, era riuscito ad avviare in Calabria diversi impianti per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, facendo fronte ai requisiti tecnici espressamente richiesti dai relativi bandi di gara, grazie al matrimonio di affari con l’imprenditore veneto Sandro Rossato di 63 anni (tra gli arrestati), con esperienze e qualifiche nel settore specifico. In particolare il binomio Alampi-Rossato aveva costituito numerose società per opere di bonifica, protezione ambientale, smaltimento e recupero dei rifiuti, aggiudicandosi, attraverso il sistematico ricorso ai tradizionali metodi di intimidazione mafiosa, diversi appalti per la gestione di alcune discariche in provincia di Reggio Calabria, comprese le attività connesse al termovalorizzatore di Gioia Tauro.
Le indagini del Ros hanno consentito di fare luce sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel settore degli appalti ecologici, nel cui ambito, riferiscono i carabinieri, sono stati accertati gli accordi tra le cosche reggine per la spartizione degli enormi profitti derivanti dalla gestione fraudolenta delle discariche regionali. È stato documentato anche il controllo da parte degli indagati di imprese già sequestrate alla cosca, mediante la complicità di un amministratore giudiziario, destinatario anche lui di un provvedimento restrittivo. Le indagini hanno anche evidenziato interventi illeciti relativi all’aggiudicazione dei lavori per la bonifica e la successiva riapertura della discarica sita nel Comune di Calanna (RC), ottenuta con la compiacenza dell’ex sindaco, secondo le indagini colpevole di aver fatto redigere dall’ufficio tecnico comunale un bando di gara con parametri concordati con i vertici dell’impresa mafiosa. Assunzioni fittizie per rampolli del clan più importanti e, per chiudere il cerchio, nei guai anche due avvocati reggini che si sarebbero prestati, quali legali di fiducia del clan, a fare da postini e da portatori di messaggi e notizie agli altri sodali non detenuti. La Procura li ha accusati di associazione mafiosa tout court, ma il gip ha rimodulato il capo d’accusa nei confronti dei due professionisti in concorso esterno in associazione mafiosa. Sono stati sequestrati beni per 18milioni di euro.
Alampi è ritenuto la mente imprenditoriale dell’organizzazione criminale, già capeggiata dal padre Giovanni Alampi, quest’ultimo arrestato nel 2010 nel corso dell’operazione «Il Crimine», che ne aveva delineato il ruolo di capo storico del «locale» di Trunca, attivo nell’omonima frazione del capoluogo reggino.