Dalle Americhe allo Stretto di Messina il potere è una malattia ereditaria. Il Vasari sosteneva che in realtà Giovanni Santi fosse un pittore non meno eccellente del grande Raffaello Sanzio, eppure se nessuno giustamente si ricorda di lui è perché nessuna impresa è più improba e meritevole di quella di provare a seguire le orme del padre e superarle. Nella politica calabrese è un esercizio piuttosto diffuso. Giuseppe Falcomatà, figlio di Italo, è nuovo giovane sindaco di Reggio Calabria col 60% dei voti di poco più del 60% degli aventi diritto. Aveva sconfitto Mimmo Battaglia nelle primarie del Pd, a sua volta figlio dell’ex sindaco che per la Dc governò durante i moti di Reggio. I due sono solo gli ultimi di una lista di dinastie di potere che in nessuna parte (democratica) del mondo appare così lunga.
Dai Mancini ai Gentile, dai Principe agli Occhiuto: a Cosenza, capitale di questo neo feudalesimo, è risaputo che il potere politico si tramanda con in famiglia. Qui i voti li ereditano per diritto di nascita. Pietro Mancini dalle valli del fiume Savuto, fu primo deputato socialista ed eroe antifascista, ministro del governo nell’era Badoglio, poi passò il testimone al figlio, era la metà degli anni ‘50. Gloriosa la storia del vecchio leone Giacomo, ministro della Repubblica e segretario nazionale del Psi prima di morire da sindaco di Cosenza. Al suo trono hanno tentato di succedere prima il figlio Pietro e poi il nipote Giacomo jr. Al primo, giornalista, riuscì una breve apparizione da sindaco di Cosenza, mentre il secondo ha una storia dei nostri tempi, entrando giovanissimo in Parlamento con la sinistra e poi ritrovatosi qualche anno dopo assessore regionale al Bilancio con la destra. fallendo l’elezione a Palazzo dei Bruzi nonostante la promessa di riportare un Misasi in Comune per fare la combo dei figli-di. Alla destra berlusconiana siede anche un’altra nipote di Mancini, Jole Santelli, saldamente in parlamento da parecchio.
È solo un caso esemplare, c’è ne sono altri. Al di là del fiume Campagnano, Cecchino prima e Sandro dopo, misero in piedi un Principato (in larga parte illuminato) che è durato sessanta anni prima dell’avvocato Marcello Manna, sindaco di Rende eletto con l’amicizia del sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, suo avversario nell’ultima tornata provinciale. Quello del cosentino neo presidente della Provincia è un caso molto particolare. Si è sempre occupato di architettura fino al giorno in cui, dal nulla, suo fratello di cinque anni più giovane, Roberto Occhiuto, non diventa per tutti il “delfino” di Pierferdinando Casini. È allora che sui colli bruzi compare l’architetto dicono-apprezzato in Cina, sbaraglia gli avversari nonostante le mani bucate e riporta anche il fratello, nel frattempo trombato dall’Udc in Parlamento, nell’alveo di Forza Italia. Il potere di casa è salvo e può ripartire l’eterna finta faida con la famiglia Gentile, protagonista da un’era geologica che ora vede Tonino sottosegretario, Pino assessore regionale e Katia assessore comunale di una filiera di potere senza precedenti.
Nelle province molto emuli: a Rossano Geppino Caputo quando dovette rinunciare al doppio incarico per legge e si vide nominare “a sua insaputa” il figlio Guglielmo per succedergli, a Catanzaro invece a sostegno di Mario Oliverio alle Regionali si è potuto votare (e quanti voti!) Flora Sculco, figlia di Enzo, loieriano prima e scopellitiano poi che a Crotone non si può candidare a causa di qualche problema con la legge. Nel Reggino Il nipote di Zavattieri alla fine non è stato candidato mentre a Castrovillari si scopre che persino Leo Battaglia, il nome che compare incivile su tutti i muri dalla Sila alle coste, presenta come credenziale su Facebook una vecchia foto della campagna elettorale di un avo, commentando: “è di oltre 50 anni fa, il presente continua…”
Non solo legami di sangue, in Calabria vale anche la variante “talamo nuziale”, quando ovvero il marito fa un passo indietro mentre la moglie ne fa due in avanti, ma questa è un altra storia. La pratica è diffusissima in tutta la Regione, un altro sistema nepotistico i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti ma non li vede nessuno.
Se sul New York Times Seth Stephens Davidowitz (QUI) si chiede con l’aiuto della scienza quanto sia pericolosa l’assuefazione al fatto che in America un figlio di un amministratore pubblico ha 1,4 milioni di possibilità in più di diventare amministratore pubblico, alle nostre latitudini non pare esserci giornalista capace di preoccuparsi della dinamica di potere che in questa regione è stata capace di cristallizzare il tempo che passa e quindi in un certo senso l’arretratezza che avanza: probabilmente sarà figlio di un giornalista.