La Calabria adora scherzare con il terremoto, ma il terremoto difficilmente ricambia. Una forte scossa nel cuore della regione ha messo paura e poco altro, anche ripensando al precedente da brividi del 1908, il devastante sisma che nello stesso giorno polverizzò lo Stretto di Messina. Nessun danno di rilievo a cose e persone è la dicitura che anche stavolta ci permette di imparare dall’avvertimento della natura, affinché ci si ricordi che chi vive in Calabria vive in una zona ad alto rischio sismico e perché quindi vengano adottate da amministrazioni e cittadini tutte le precauzioni diventate nel 2015 routine in molte zone del mondo molto meno a rischio di questa.
Partiamo dalle cose semplici: conosci il piano di emergenza comunale del posto in cui vivi? Si tratta di un importante strumento di riduzione del rischio, che può farti capire quali sono i posti in cui radunarsi e le prime cose da fare in caso di emergenza. È previsto dalla legge n. 100 del 12 luglio 2012, che vuole il piano, Comune per Comune, approvato entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento e redatto secondo i criteri e le modalità riportate nelle indicazioni operative del Dipartimento della Protezione Civile e delle Giunte regionali. Bene, scopriamo dal sito interattivo della Prociv che a due anni dalla cosa in Calabria – con di mezzo esperienze come quella di Mormanno – solo il 54% dei Comuni calabresi ha adottato il piano, contro il 92% della Basilicata e il 94% della Puglia. Speriamo che almeno la totalità di questa percentuale lo abbia comunicato correttamente ai suoi cittadini, ma ci permettiamo di dubitarne.
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Male, e siamo partiti dalle cose semplici. La Calabria è notoriamente una delle regioni italiane con il più alto grado sismico, eppure nelle pratiche pubbliche parlare correttamente e serenamente di terremoti quando questi eventi non sono avvertiti è accolto con rifiuto quasi scaramantico. Dopo il tremendo evento sismico in Abruzzo il rischio sismico in Italia è diviso in quattro zone: La Zona 1 (colore rosso) è la più pericolosa, dove possono verificarsi forti terremoti; nella Zona 2 possono verificarsi terremoti abbastanza forti; nella Zona 3 si può essere soggetti a scuotimenti modesti e nella Zona 4, la meno pericolosa, le possibilità di danni sismici sono basse. In Calabria i comuni con livello sismico 1 sono 261 quelli con livello sismico 2 sono 148, significa che la totalità dei comuni calabresi è rischio di terremoti forti o abbastanza forti.
Nel corso degli ultimi anni anche a livello europeo sono state elaborate nuove norme, in particolare per la costruzione in zone a rischio sismico (i cosiddetti Eurocodici) che hanno lo scopo di garantire alle nuove costruzioni maggiore sicurezza e stabilità: ovviamente anche l’Italia ha l’obbligo di adeguarsi a tali norme di costruzione. In che modo lo fa? Il progettista strutturale in pratica non ha più la facoltà di scelta; per ogni nuova costruzione, sarà infatti sempre obbligatorio un’analisi strutturale e di dimensionamento degli elementi del fabbricato, con parametri diversi a seconda della zona. Ovviamente obbligata dalla legge e regolata da decreti ministeriali l’accurata verifica della staticità degli edifici pubblici definiti “strategici” (per es. scuole, ospedali, chiese, musei e ponti). Stiamo parlando di soluzioni adottate dal 2008 ed entrate in vigore nel 2010, in cui si definiscono i principi per progettare, realizzare e collaudare edifici antisismici. Per la loro corretta applicazione ci dobbiamo affidare al funzionamento della filiera istituzionale, sperando che non si ripetano a queste latitudini gli scandali delle strutture pubbliche sbriciolatesi a L’Aquila.
Ma chiaramente prima di queste disposizioni era pressoché il Far West, e stiamo parlando della quasi totalità degli edifici che insistono sul territorio calabrese. Anche in questo caso il cittadino può fare qualcosa di immediato per ridurre il rischio sismico. Dal primo gennaio 2015 è previsto – con il cosiddetto decreto Sblocca Italia in altri punti abbastanza contraddittorio in materia di prevenzione – una detrazione d’imposta fino al 65% per interventi tesi a garantire il rispetto della normativa antisismica, con tetto a 60mila euro. In pratica anche le antiche abitazioni possono diventare antisismiche, e lo Stato dà una mano a chi vuole intraprendere la spesa. Ma il problema è su quel “possono”, perché in un paese davvero civile si trasformerebbe in un “devono”. La messa in sicurezza del territorio, delle strutture pubbliche e delle abitazioni è la vera grande opera di cui ha bisogno questo Paese. Un cantiere enorme, che recuperando il passato potrebbe portarci in un futuro più sicuro, in cui degli eventi naturali, anche quelli più terribili, si può avere una paura più razionale.
Siamo passati al condizionale, l’avrete notato, perché i fatti, ostinati, ci fanno apparire immobili e destinati a guardare all’ignoto futuro con quel superstizioso timore e quel senso d’impotenza tipico di chi continua ad inseguire modelli di sviluppo lontani, che stuprano il territorio in nome di un progresso che aderisce a nessuna logica se non a quella del vecchio adagio popolare: il chiurito (lo sfizio, il prurito) è più forte del terremoto.