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REPORTAGE | Nel ghetto rom dove i diritti muoiono di freddo

Matteo Dalena
Matteo Dalena
Gennaio04/ 2015

di Matteo Dalena

Basta campi rom, creano solo delinquenza: ora dateci diritti, coinvolgeteci nelle decisioni. A parlare è un ragazzo di etnia rom che studia Scienze dell’educazione all’Università e cita a menadito Kochanowski, maestro del parlare tsigano. Nel ghetto etnico di via Reggio Calabria i bambini hanno la febbre alta e gli anziani riescono a stento a muoversi, bloccati da artriti invalidanti che li hanno resi fragili e deformi. Il tepore del cognac che ci viene offerto in casa insieme a un buon caffè dura pochi minuti, giusto il tempo di acclimatarci all’umido di manufatti fatiscenti, alzati e ampliati passo dopo passo, condono dopo condono, all’ombra di amministrazioni comunali pressoché assenti che hanno regalato ai 13 inquilini di etnia culturale rom un trentennio di promesse non mantenute.

APARTHEID ITALICO Da via Reggio Calabria non si passa per caso. Nel cuore del terzo insediamento di rom italiani di Cosenza (circa 20 famiglie per un totale di circa 100 individui) dopo quelli di via degli Stadi (circa 94 famiglie per un totale di 388 individui) e Vagliolise (circa 120 famiglie sparse per un totale di circa 400 individui), bisogna andarci di proposito ma a patto, cosa non scontata, di conoscerne l’esistenza. Ultimo cosmo quasi preindustriale, strozzato tra la semi comatosa ferrovia e un’urbanizzazione che selvaggiamente ruba fiato alla terra, producendo spazzatura ed esclusione. Si vedono diversi metri quadri di pattume, autoveicoli mutilati e abbandonati conducono davanti a casa Bevilacqua: un edificio in legno, lamiera e poca muratura occupato nel 1985 quando la famiglia vi si trasferì da Lamezia, preceduta da un’altra ventina di nuclei presenti dalla metà degli anni ‘50. Qui l’identità rom non è molto più forte di quella italiana: «Siamo qui da 30 anni esatti, ci sentiamo cosentini – spiegano i capifamiglia – senza però poter usufruire di quello che offre questa città e, prima di tutto, di una casa che sia definibile come tale». Due file di abitazioni in un vicolo cieco, tunnel senza uscita: nessun visitatore esterno, eccetto forze dell’ordine, qualche amministratore, giornalista, operatore ecologico, attivista. Nessuna fonte di riscaldamento se non quella di un unico focolare attizzato alla bisogna con la legna raccolta dall’anziano “zio Ciccio”, piegato dall’umido e dalla malattia su una carriola che ogni giorno deve essere riempita. «La legna che manca la compriamo – dice Rosa – e sono 2-300 euro alla settimana nei mesi invernali, mentre l’acqua c’è solo fino alle 16, poi la tiriamo su con una pompa dal fiume ma è da condividere con tutte le altre famiglie». Bastano pochi attimi per cogliere la fragilità di queste vite: anziani che semplicemente stazionano ricurvi su bastoni o altri accrocchi di fortuna, bambini che vagano mentre padri e madri si augurano per loro un futuro di studio o lavoro fuori da tutto questo, visto che le occasioni di delinquere stanno dietro la porta.

 

PAROLA ROM In mezzo a loro i volontari di Lav Romanò (Parola Rom), compagni della visita in via Reggio Calabria, spiegano i motivi della loro presenza e azione negli insediamenti: «Sui rom di via Reggio Calabria la nostra concentrazione è massima in primis perché ci sono nato e poi perché è un campo che esiste da oltre 60 anni», spiega Luigi Bevilacqua. Discendenti dai “pionieri” del 1350 provenienti da una Grecia stravolta dall’ondata Ottomana, i rom cosentini diventano stanziali negli anni ’40 del secolo scorso: «La mia famiglia vive a Cosenza da sempre – ci dice Fiore Manzo, un libro di splendide liriche all’attivo– prima c’era un seminomadismo solo nella stagione estiva legato al commercio dei cavalli e alle fiere». Inizialmente insediati nelle baracche militari su via Panebianco infatti, dopo una decina d’anni i rom cosentini vengono spostati su una delle sponde del Crati, nel grande campo di via Gergeri e successivamente un’altra piccola parte in quello di via Reggio Calabria. Infine, sotto la copiosa nevicata del 14 dicembre del 2001, in via degli Stadi. A tal proposito l’auspicio di Luigi Bevilacqua è che non si ripeta quanto accaduto su via Gergeri: «Fu smantellato e furono costruite delle case certamente più idonee rispetto alle baracche ma si venne a creare un vero e proprio ghetto etnico, un campo rom in muratura». Un’equa dislocazione abitativa e di opportunità è la soluzione proposta dagli attivisti per risolvere il “problema via Reggio Calabria”: «Se la volontà del Comune di Cosenza è veramente quella di individuare un palazzo a Donnici, sistemarci 20 famiglie e creare il solito ghetto noi siamo assolutamente contrari – spiega Luigi Bevilacqua – abbiamo chiesto che su tre alloggi popolari che stanno dando a Cosenza, due vengano dati a cosentini non rom e l’altro a una famiglia di via Reggio Calabria». Nessun altro ghetto, dunque, foriero di abbrutimento, esclusione e delinquenza. L’attivismo e il protagonismo di “Lav Romanò” operano al fine di fornire ai rom cosentini gli strumenti di un’autosufficienza che consenta loro di raccontarsi e non essere sempre raccontati, autodeterminarsi e non essere determinati: «I rom devono risplendere di luce propria e non di luce riflessa – conclude Luigi Bevilacqua – quello che ci interessa è dare lustro al nostro popolo, dargli la possibilità di camminare con le proprie gambe. Noi ci affidiamo alla competenza, la stessa che vogliamo trasferire ai nostri fratelli». Infine l’attivista Enzo Abruzzese esplora le sfaccettature del non sempre roseo rapporto con le altre associazioni che si occupano di rom: «Perseguiamo il bene del nostro popolo e, proprio per questo, non abbiamo paura di dire le cose come stanno, denunciando apertamente situazioni poco chiare perché, come si sa, dalle emergenze si creano i migliori business. Forse per questo declinano i nostri inviti. Auspichiamo fratellanza, ma guai a prenderci in giro».

La parola giusta è pralipé, fratellanza fra etnie diverse, anticamera e insieme mezzo per la piena integrazione e per il diritto più grande e universale che ci sia: il sogno di felicità.

 

(foto di Copertina: Life among the Roma ©WashingtonPost)

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Matteo Dalena
Matteo Dalena

Storico con la passione per la poesia, imbrattacarte per spirito civile. Di resistenza.

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