Il meridionalismo come strategia di rinascita potrebbe essere il nuovo corso della Ditta bersaniana messa alle corde da Matteo Renzi. La domanda nasce, quasi, spontanea: cosa fa Massimo D’Alema a Cosenza e poi a Napoli in un frangente così delicato per il Partito democratico? Ufficialmente l’ex presidente del Consiglio ha accompagnato il nuovo numero della rivista-fondazione “Italianieuropei” nella folla veterocomunista della città dei bruzi. In agenda il problema dei problemi: il Sud. Belle parole, dizione impeccabile, aplomb da vecchio dirigente della macchina infernale del Pci. Ma il Meridionalismo di D’Alema non ha nulla di nuovo se non il vero significato della gita borbonica: contare gli amici e intercettare gli scontenti. D’Alema è a Cosenza per serrare le fila dei suoi (ex?) fedelissimi. In primis il governatore, Mario Oliverio, mai digerito dall’attuale premier, malgrado le lodi pubbliche. Il presidente della Regione Calabria non piace al rottamatore (che non lo vuole commissario alla Sanità), così come tanti democratici mossi da istinti conservativi. Intanto il baffo più famoso del Pd sta sondando il terreno e inviando messaggi: siamo pronti a rompere il vincolo che ci lega al segretario se non cambia la musica. Sembra uno scenario assurdo solo se non si tiene in conto della tempra di ferro di chi ha occupato militarmente cariche politiche negli ultimi quattro decenni. Il tour cosentino è pieno di sorprese. Compreso l’avanzamento dell’ex vicepresidente della Regione, Nicola Adamo, dalle ultime file ai primi posti. Nicola ama comandare ma stare in fondo, quasi in sottofondo. Nel giorno di D’Alema a Cosenza esibisce una presenza soddisfatta: non è un caso. E sua moglie, la parlamentare Enza Bruno Bossio, sta sul palco in bella mostra. Al suo fianco l’intruso renziano, Ernesto Magorno. Il moderatore dell’incontro lo annuncia come «deputato vicinissimo a Renzi». Magorno è costretto a specificare: «Sono il segretario regionale del Pd finalmente unito». Nessuno ci crede e gli applausi non a caso si contano sulla punta delle dita.
La visita calabrese di Massimo fa il paio con quella partenopea. In Campania l’europarlamentare dalemiano, Andrea Cozzolino, è il favorito nelle primarie di domenica prossima. In palio un posto da candidato del centrosinistra alle prossime regionali. E non sarà certamente Gennaro Migliore, ex vendoliano passato alla corte di Matteo il Magnifico, a scompaginare i piani dell’asse Bassolino-Cozzolino-D’Alema. Migliore si è ritirato dalle primarie denunciando pericolosi trasversalismi. In realtà sa di non avere nessuna chance in questa partita. Se fosse stato in Calabria avrebbe forse avrebbe cambiato, addirittura, partito. In tutta questa sceneggiata napoletana le dimissioni dell’europarlamentare Massimo Paolucci dal Pd come vanno lette? Ufficialmente come risposta alla deriva dei democratici partenopei. Sotto traccia, ma non troppo, sono un altro segnale del “prediletto Massimo” (così amava chiamarlo Cossiga). C’è da aggiungere che Paolucci (in cerca di voti alle Europee) è stato in Calabria prima e dopo le regionali che hanno incoronato Oliverio. Ed era sempre al fianco dell’ex presidente della Provincia di Cosenza, compreso il giorno della vittoria. Il presente di D’Alema non ha risparmiato lodi sperticate in favore del governatore della Calabria e continui attacchi a Renzi: dal jobs act alla legge elettorale, passando per l’assenza di dialogo nel partito secondo Matteo. Quello stesso Renzi costretto a registrare l’assenza dei bersaniani alla riunione dei gruppi parlamentari democratici.
A Roma si gioca la partita parlamentare, a Sud vicerè, nuovi e vecchi borboni potrebbero correre in soccorso di D’Alema e soci. Anche loro hanno qualcosa da temere dai giorni dell’ira renziana. E anche il giusto Emiliano dalle Puglie, amico deluso da Matteo, potrebbe tornare sui suoi passi. L’imperativo per la Ditta è non scomparire. Il meridionalismo è solo il nome dell’operazione “sopravvivenza”.