Ogni giorno nascono giornalisti inconsapevoli. Che forse non sanno quanta vita e salute perderanno lungo la strada. Oppure, semplicemente, credono che talento, fortuna e, chi può permettersela, raccomandazione, gli renderanno la vita più facile. A Perugia sembrano esserci proprio tutti. Vanno avanti e indietro, incuranti del caldo, del freddo e della pioggia che rende la città di Pinturicchio e dei Baci Perugina imprevedibile, bella e stupefacente. Spaesati, vanno avanti per le vie di una città che sembra però non accorgersi nemmeno per un attimo di loro. Ma i nostri se ne infischiano e, sfidando clima, sfiga, pendenze del 16%, file non sempre a lieto fine e instabilità emotiva e lavorativa, raggiungono i propri panel scelti scrupolosamente dopo un’attenta visione notturna del programma dell’evento che, a seconda dalla versione inglese o italiana, mettono in evidenza eventi completamente diversi. Scelto quello che fa per loro, i nostri, muniti di cuffie, di tablet e, chi non se ne vergogna, di carta e penna, seguono simpatiche lezioni di giornalismo nostalgico o futuristico, rivisitato e commentato da illustri esperti della materia che ascoltano e rispondono alle loro domande inutili, ripetitive, banali e persino intelligenti.
All’ #ijf15 a controllare se i big cenano nei ristoranti, i precari in pizzeria, quelli di scienze della comunicazione solo pizza al taglio.
— Gianni Agostinelli (@gia_ago) 15 Aprile 2015
In ogni sala, qualunque sia l’argomento trattato, non mancano mai gli ambiziosi. Visto che di questi tempi si emerge solo attraverso i talent, sperano di essere notati per dare inizio alla loro inarrestabile scalata professionale. A fine convegno si avvicinano alla star di turno lasciandogli inutili parole e curriculum. Succede solo agli italiani. Non tutti per fortuna. O per sfortuna. Poi corrono verso il prossimo obiettivo, e che sia Peter Gomez, Marco Damilano, Beppe Severgnini o Augusto Minzolini, conta poco. Uno vale l’altro. L’importante è arrivarci e crederci sempre. Perché “chi vale – afferma il condirettore di Repubblica.it Giuseppe Smorto (un calabrese riuscito a imporsi lontano dalla sua terra) – alla fine ce la fa e viene notato e premiato. E non è importante che sia raccomandato oppure no“.
Si discute e si dibatte su tutto nelle splendide sale di Perugia, tanto sul nuovo che avanza e poco, quasi niente, sulla vecchia carta stampata che è destinata a morire nel giro di un altro paio di Festival. I vip della tv italiana scorrono luccicanti e sereni come un fiume in piena davanti all’Hotel Brufani, il quartier generale dell’evento che fu raduno della Marcia su Roma. Apparentemente fanno capire alla massa di fan che li ammira e li invidia, che odiano essere avvicinati, “selfizzati” e fissati, sapendo, però, in cuor loro di volerlo fortemente. E mentre vivono questa contraddizione interiore, si preparano ognuno alla propria lezione di vanità da dare in pasto alla indifesa vanità altrui.
Ma a regnare è soprattutto il contrasto, sempre opprimente e angosciante nella mente di chi vent’anni non li ha più, tra il futuro delle nuove tecnologie e dei social che stanno uccidendo o cambiando (ognuno la vede a modo suo) una professione, e il passato di una città medievale che non sa più cosa farsene della sua storia, del giornalismo e dei giornalisti di una volta. Un contrasto che spacca in due un settore. Passato e futuro, uno contro l’altro, uno nettamente con più armi a disposizione dell’altro. Si può fare una scommessa su chi la spunterà, ma al momento c’è solo una certezza: il presente non è occupato da nulla di concreto e professionalmente dignitoso, e quando questi nuovi mezzi di comunicazione, in continua e schizofrenica evoluzione, raggiungeranno la loro stabilizzazione, anche chi vuole fare il cronista troverà la sua pace e inizierà forse a comprendere davvero le notizie che dà. Quanto tempo ci vorrà è impossibile saperlo. Nell’attesa (se si vuole o ci si può permettere di attendere) si può solo provare a sopravvivere alla meno peggio. L’alternativa è lasciar perdere tutto, come certi esperti consigliano, e intraprendere una carriera diversa. Magari nel campo della vendita di panini con la porchetta, che a Perugia, nei giorni del Festival, ha permesso al proprietario di un piccolo gazebo posizionato a pochi passi dal centro, di diventare più ricco di quello che era. Grazie agli spicci dei giornalisti precari.