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Vincenzo Sapia, una storia sbagliata

Dante Prato
Dante Prato
Maggio24/ 2015

sapia

Nelle parole di Fabrizio De Andrè, questa sarebbe una storia sbagliata. La storia di un ragazzo e di un cane, di psicofarmaci e violenza, di carabinieri e di paese. Una storia da dimenticare. È il 24 maggio del 2014 a Mirto Crosia. Un anno fa. Il piccolo paese della costa ionica cosentina è in fibrillazione da elezioni comunali, bisogna scegliere il nuovo sindaco. È sabato mattina: le massaie stanno ultimando la spesa, i ragazzi escono da scuola felici sognando il weekend. Vincenzo Sapia è un ragazzone di 29 anni e oltre 100 chili con la passione per la politica e qualche problema di salute. Sono circa le dodici, quando decide di uscire di casa. Assume i suoi farmaci quotidiani e saluta la madre, intenta a cucinare.

«Dove vai Vince’? – ci prova Isabella a fermarlo – è quasi pronto…».

«Vado a prendere un cane – risponde il ragazzo – e torno presto».

Lo sognava da tempo, lo desiderava con ardore. Probabilmente aveva bisogno di un amico al quale poter regalare tutto il suo affetto. Bacia la madre ed esce di casa. Vincenzo si incammina verso l’ufficio postale del paese che dista poche centinaia di metri. C’è un palazzo di tre piani. Lì, Vincenzo è convinto di trovare un cagnolino. Entra nel portone, sale un piano e comincia a bussare con vemenza ad una porta. La padrona di casa non apre, i vicini hanno paura e telefonano ai carabinieri. Vincenzo riscende. Attende nello spiazzo antistante l’ufficio postale e, intanto, arrivano le forze dell’ordine. Il maresciallo si è insediato da poco tempo e non sa ancora chi è Vincenzo, ma gli altri carabinieri lo conoscono bene. I precedenti non sono quelli di un ragazzo violento, ma sicuramente quelli di un ragazzo che ha qualche problema. Le strade intorno sono piene di gente, ci sono gli studenti delle scuole vicine, ma c’è anche il candidato sindaco di centrodestra, l’avvocato Antonio Russo, che conosce personalmente il ragazzo. Vincenzo milita nel suo stesso gruppo politico e bazzica spesso nella sede del partito. Russo, che da lì a qualche giorno verrà poi eletto sindaco, interviene nel cercare di calmare il ragazzo e, in un primo momento, pare ci riesca. Ma intanto sopraggiungono i rinforzi, arriva un altro uomo in divisa. Lo stato di agitazione di Vincenzo cresce velocemente. Diversi testimoni raccontato che Vincenzo si denuda, rimanendo in mutande, apparentemente senza un motivo. I carabinieri allora decidono di intervenire per bloccare il ragazzo, non è facile data la stazza. In tre si adoperarono per immobilizzarlo. Poi, un vuoto nella ricostruzione, ma un esito certo, un finale tragico: Vincenzo giace a terra morto. Sopraggiungono amici e parenti, tutti a chiedersi cosa sia successo, come sia morto il ragazzo. La madre chiede che il corpo, ormai senza vita, venga coperto con un lenzuolo. Tutti attendono risposte che, però, non arrivano. L’area viene transennata, si parla di un infarto, ma sono in molti a non accettare questa spiegazione. Arriva l’ambulanza e la polizia scientifica per i rilievi fotografici, mentre i carabinieri si allontanano e gli animi cominciano ad esasperarsi. Sono attimi concitati: il padre alza la voce, gli amici chiedono giustizia. Il corpo di Vincenzo rimane più di tre ore sull’asfalto rovente prima di essere caricato su un’ambulanza in direzione dell’obitorio.

Il giorno dopo, le elezioni del paese passano in secondo piano, i giornali titolano sullo strano caso del ragazzo di Mirto, mentre strisciano subdoli tentativi di screditarlo come persona.  La procura di Castrovillari, decide di indagare i tre carabinieri intervenuti per omicidio colposo: un atto dovuto. L’indagine è complicata, anche per il silenzio piombato intorno alla vicenda. Un’indagine difficile, che ad un anno dai fatti ancora non è chiusa. Anche l’esame autoptico effettuato sul corpo del giovane non serve a dirimere i dubbi. Indiscrezioni giornalistiche, qualche mese più tardi, parlano dell’assenza di segni di violenza. Un semplice infarto e il caso, almeno per l’opinione pubblica, è chiuso. Ma ci sono troppe domande senza una risposta. La famiglia attende di sapere come è possibile che un ragazzo che non aveva mai avuto alcun problema cardiaco sia potuto morire d’infarto all’improvviso, quali siano stati i metodi di contenimento delle forze dell’ordine, perché nessuno dei testimoni abbia mai voluto parlare con i giornalisti, cosa abbiano ripreso le telecamere di sicurezza del vicino ufficio postale. Chi ha amato Vincenzo per 29 anni chiede verità e ha deciso di affidarsi all’avvocato Fabio Anselmo. Il legale, già difensore della famiglia di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi e, da qualche mese, anche di quella di Donato Bergamini, per scongiurare la possibilità di archiviazione del caso potrebbe basarsi su una circolare del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri del 30 gennaio 2014 – già usata nel processo Magherini e al centro di alcune interrogazioni parlamentari – che vieta «immobilizzazioni protratte specie se a terra in posizione prona» e descrive in maniera molto precisa i comportamenti da tenere durante gli «interventi nei confronti di persone violente in stato di alterazione psicofisica». Proprio la condizione che stava vivendo in quegli attimi Vincenzo Sapia e che – secondo la linea difensiva – avrebbe richiesto una modalità di intervento diversa da parte delle forze dell’ordine.

 

Dante Prato
Dante Prato

Giornalista sociale e freelance per vocazione, quando penso ad una “testata” mi viene in mente solo quella di Zidane su Materazzi.

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