servizio di Michele Presta – photogallery di Giovanna Bitonti
Voglio raccontarvi una storia calabrese, la mia storia. Alessandro Mannarino per la prima volta suona di giorno, in gran chiusura della fortunatissima rassegna Sila Suona Bee 2015, e racconta dal palco di Monte Curcio per la prima volta le sue origini. Parla raramente ai concerti, ma stavolta – lo rivela guardando in faccia il pubblico della rassegna La Sila Suona Bee – ne sente davvero la necessità. «Mi chiedono sempre quanta Roma c’è nelle mie canzoni, ma in realtà c’è molta Calabria, quella dei miei nonni, dei racconti sui monti. La storia di persone che avevano bisogno di un permesso di soggiorno per vivere a Roma».
Mannarino con la sua rumba magica e mistica ha incantato tutti quelli che sono saliti al monte. Perché, come dice nel suo ultimo album e nel penultimo appuntamento del suo tour: «È solo sui monti che possiamo esiliarci dalla contaminazione. Dalla contaminazione politica, religiosa. Anche questo è un luogo puro (La Sila, ndr), l’unico inquinamento che possiamo portare è quello dei nostri pensieri…» Ad ogni pizzico delle corde delle chitarre è un piccolo delirio, la folla ascolta entusiasta e divertita il concerto, baciata dall’ultimo sole estivo e si abbandona alla poesia del posto tra Ossi di Seppia e Elisir d’Amore. I classici del repertorio del cantautore romano sono ormai hit per i suoi fan e non solo; i calici alti al cielo dicono che anche un pomeriggio di vino vale cento giorni d’aceto. Un ballo combinato per gli amanti, quando Mannarino canta Me sò mbriacato. La voglia di danza e di liberarsi da ogni freno inibitore colpisce tutti quanti, l’intera vallata ondeggia, diventa un enorme Bar della rabbia. È in quel testo che ognuno ritrova un po’ se stesso, nel tappo del vino che è stato mandato indietro, o nelle ginocchia sbucciate di chi ha pregato tanto e non ha mai avuto niente. Tutti sono padroni di questo pomeriggio di musica e magia e ognuno si libera a modo suo prima di ritornare alla normalità, che ha le sembianze di un semaforo e di una coda infinita di automobili.
Prima però non c’è solo svago, dal palco un richiamo agli ultimi sviluppi del caso Cucchi e le strazianti immagini di umani in fuga dalla guerra che riportano Mannarino alla storia della sua famiglia: «Quando mio nonno è partito dalla Calabria per arrivare a Roma è arrivato da clandestino perché era necessario un permesso di soggiorno, poi è nato mio padre qui in Calabria, si è poi trasferito a Roma e grazie a questa immigrazione sono nato io. Siamo un paese dalla memoria corta, per questo non riusciamo a rispecchiarci in chi sta vivendo situazioni davvero tremende». Poi l’abbraccio con il pubblico, con gli artisti sul palco e con le maestranze e il ringraziamento a un tecnico delle luci speciale, l’Universo. E ancora via il cappello, cambio di camicia e giù per la vallata in mountain bike, in mezzo a una natura mozzafiato e alle persone che sbigottite lo guardano sfrecciare e lo salutano dall’ovovia. Meraviglie della Sila e della Sila soltanto, astenersi convegni.