“A La Crosse, Wisconsin, sono le tredici. Dalle cucine una cameriera dai capelli rossi torna correndo: Hanno sparato a Kennedy, hanno colpito il presidente. Il televisore è acceso, parla Walter Cronkite, cronista della Cbs: The President is dead. Nella sala c’è chi piange, chi resta allibito. Entrano dei viaggiatori con l’impermeabile lucido; sulle prime non capiscono. Cosa succederà adesso? si chiede qualcuno. Sul Mississipi piove forte, l’America si prepara ad un triste Ringraziamento”.
Ho sentito vecchi cronisti ripetere questo attacco a memoria. Sono parole che rimbombano in una piccola cabina telefonica, dettate da Enzo Biagi ad uno stenografo de La Stampa a poche ore dal delitto che sconvolse il mondo, è venerdì 22 novembre dell’anno 1963. Quando spappolarono il cranio di John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Biagi si trovava in America per la Rai. Stava realizzando un documentario lungo il grande fiume Mississipi: non si spiega come, ma quando avviene la storia i grandi giornalisti sono sempre sul posto. Raccontare cosa fa la persona meno importante del mondo per spiegare cosa era successo alla persona più importante del mondo. La notizia del secolo che interseca gesti normali e quotidiani, sconvolge la realtà comune. La cameriera che torna correndo, la televisione accesa nell’ora di pranzo, i capelli rossi, la pioggia a dirotto e gli impermeabili lucidi, servono al grande cronista per raccontare non cosa è successo a Dallas (dove splendeva il sole e dove in realtà Gary Dalaune aveva già dato la notizia alla radio locale), ma per proiettare il lettore italiano nello scenario dei fatti, dove tutto è molto più profondo del dettaglio. È nell’anima delle cose semplici che avviene il braccio di ferro fra le storie e la storia.
“Non denunciare mostra” (show don’t tell): la lezione del grande cronista che con poche parole riesce a fiondarti in mezzo alla gente, ti fa sentire testimone dell’accadimento pure se ti trovi dall’altra parte del mondo. Non ci sono tweet, non ci sono macchinette digitali, il filmato del sarto Abraham Zapruder con la sua 8mm non può finire su Youtube o Facebook come farebbe oggi, ma verrà a galla in serata in una sala della Kodak vicina al Dallas Mirror. Tutto fino è affidato alla potenza delle parole inventate da tipi come Enzo Biagi, di cui l’America era piena. Il giornalista di Pianaccio anche quella volta era convinto di aver fatto bene il suo lavoro, ma non la pensava come lui però Giulio De Benedetti, carismatico e potentissimo direttore de La Stampa di Torino. L’articolo andò in basso alla pagina, poca evidenza. Ce n’era anche un secondo, di ambiente, che venne addirittura cassato. Quando si telefonarono, il direttore disse al cronista: “Da te mi aspettavo di più” e fu l’unica volta che Enzo Biagi pianse per il suo lavoro. E’ raccontato nel libro “Era ieri” edito dalla Rizzoli, che qualche anno fa incautamente regalai alla bella cameriera che mi scriveva il suo contatto di Msn sul retro dello conto, mi torna in mente il suo volto mentre la figlia di Biagi ricostruire con grande umanità le ore che precedettero il telegramma del padre a De Benedetti:
“Pregoti considerarmi dimissionario data odierna”.
Sul delitto Kennedy nonno Biagi avrà modo di tornare un anno dopo per un lunghissimo reportage per L’Europeo. Ne ho una copia accanto al letto da un sacco di anni, mi piace sapere che sia lì. Biagi racconta il suo arrivo in città alla ricerca dei testimoni dell’evento, il prezzo da pagare per ogni intervista. Al di là del prete che ha dato l’estrema unzione al presidente, ingaggia solo donne, un coro greco. L’ultima che ha dato la mano al presidente, l’85enne Anny Dunbar; Marina Oswald la moglie russa di Lee Harwey Oswald, l’assassino di Kennedy; Eva Grant, la moglie di Jack Ruby, ultranazionalista che il 24 novembre del 1963 uccise il marxista Oswald nella stazione di polizia di Dallas, eppoi la signora Marguerite Oswald, fermamente convinta che il figlio fosse un capro espiatorio trovato per coprire responsabilità politiche. Biagi decide di restituire al lettore le opinioni delle tre signore “per come le ho raccolte in lunghi colloqui, limitandomi a legarle a o a contrapporle, perché dal dibattito esca un quadro, il più possibile vero, di ciò che accadde a Dallas nella mattinata del 22 novembre 1963”.
Enzo Biagi intervista Marguerite Oswald, fermamente convinta dell’innocenza del figlio
A più di 50 anni dal tragico evento, l’amministrazione americana ha declassificato e pubblicato online 2800 documenti finora segreti (eccoli QUI) su quello che si può tranquillamente definire il caso del secolo. Circa 300 files, per motivi di sicurezza nazionale, restano ancora inaccessibili, ma nell’era della realtà non mediata a nulla servirebbe averli a disposizione di tutti, ci vorrebbe una sapiente mano giornalistica in grado di decostruirli e di far emergere le domande giuste, ed è quello ci si augura saprà fare il giornalismo internazionale orfano di troppi maestri. La Stampa intanto, ha pubblicato l’articolo scartato nel 1963 (leggilo QUI). La trascrizione fatta dagli stenografi è stata ritrovata negli archivi del quotidiano torinese e ci restituisce un altro pezzo esemplare del suo giornalismo con il volto umano, che su L’Europeo decise di declinare con ventitrè personaggi in quello che chiama un “diario di una giornata, 22 novembre 1963, venerdì. Una cronaca succinta, si capisce: protagonista è l’America”. Si comincia da un agricoltore e si finisce con il direttore del Chicago Sun Times che non sa che titolo mettere al suo pezzo. “Pensa un po’, poi scrive ‘L’America piange’”.
Qualche ora dopo piangerà anche Enzo Biagi.
in copertina | Enzo Biagi disegnato da Giovanni Angeli