Salvo sono, non ho bisogno di presentazioni. Parlano i record di share sul primo canale della rete pubblica che anche ieri sera hanno incollato un italiano su sei (con punte di oltre il 41%) davanti al Commissario Montalbano, la serie con la regia di Alberto Sironi tratta dai romanzi di Andrea Camilleri. Anche per questo motivo che si gioisce della riabilitazione di un mestiere difficile e bistrattato, quello del cronista di provincia, ieri sera impersonato in scena dalla comica palermitana Teresa Mannino (già nota a quello che chiamavano pubblico del piccolo schermo per le sue partecipazioni a Zelig e per gli spot televisivi al fianco di Raoul Bova).
La Mannino in una puntata alquanto intricata e affascinante ha recitato la parte di Lucia Gambardella, giornalista attenta e scrupolosa, che per le sue inchieste su una serie di appalti truccati a ammazzatine a Vigata, paesino immaginario divenuto immaginario collettivo grazie ai senza fiato scorci di Ragusa e dintorni, finisce nel mirino dei malacarne. La Gambardella non è un pezzo di sticchio e non è inserita nel contesto per qualche strana camurrìa amorosa. E’ semplicemente funzionale al giallo, perché da brava professionista conosce a memoria fatti e circostanze, ne sa più e meglio della sbirrama vigatese e non ha problemi a denunciare, tanto che lo stesso Salvo Montalbano decide di rompere il sacrale silenzio del pasto (pare sia un’usanza dello stesso Camilleri) per invitarla a cena e chiederle informazioni sul conto di quella famigerata zona d’ombra fatta di colletti e guanti bianchi, tatuaggi e camice firmate, belle fimmine e ville di collina che tanto somiglia alla realtà. La cronista seppur sotto grave minaccia (i soliti ignoti hanno preso di mira il suo bambino), non fa una grinza, ha sempre le pezze d’appoggio in tasca e sulla terrazza della Marinella sciorina vino bianco e tutti i dati senza alcun timore, ricostruisce i tinti legami dell’imprenditoria di facciata con le famiglie mafiose (nella fantasia i Sinagra di Vigata e i Cuffaro di Trapani), le coperture politiche e i tesori che il poliziotto prima di cena sembrava l’unico a non conoscere.
Il personaggio funziona, è dignitoso e restituisce dignità a una categoria che esiste e resiste davvero, senza che nessuno gli renda mai merito. Quella dei cronisti del Sud che, pur potendone scrivere solo una parte, conoscono vita morte e miracoli del cancro che uccide la terra da cui non hanno voluto o non hanno potuto andarsene. Quella che le ultime statistiche nazionali hanno dimostrato essere la colonna vertebrale di ciò che resta dell’informazione vera, un piccolo esercito di giovani e meno giovani che affrontano minacce e processi a fronte di stipendi che per decenni non hanno superato la media di 5 euro ad articolo.
E’ una specie di piccola onda che però arriva da più lontano ed è ennesimo segnale del salto di qualità, per restare nel linguaggio sbirrottesco, della produzione culturale che si deve al duo Camilleri – Sironi. E’ di fatto un tributo non scontato e non certo dedicato alla categoria tutta dei giornalisti, anzi piuttosto (e giustamente) presi spesso in giro dall’affilata sigaretta ormai comparsa persino in mano a Luca Zingaretti, ma quello messo in scena dal Commissario Montalbano ieri sera è lo stesso qualcosa di cui prendere nota, soprattutto di fronte al suo sorriso compiaciuto proprio di chi se lo aspetta mentre ascolta l’impettito anchorman di provincia che nel tiggì locali riporta le anti-verità dei padroni che tentano di smontare le piste investigative di Catarella and friends.
C’è un abisso di sfumature persino nel confronto con Nicolò Zito, giornalista di Retelibera (una delle due emittenti private di Montelusa che si vedono a Vigata, l’altra è la mainstream Televigata). Coetaneo e grande amico del commissario in tanti libri e puntate del passato, Zito, di sinistra e indipendente, tuttofare con l’aria da cialtrone che non le manda mai a dire (molti riconoscono un vago omaggio al mitico Pino Maniaci di Telejato), si limitava però ad avere un rapporto diretto da fonte con l’inquirente, uno di quelli do ut des necessari per chi lavora in giudiziaria o nera per avere notizie prima degli altri a prezzo di dover far da cassa di risonanza a quei sotterfugi polizieschi che servono a mettere in trappola furfanti di provincia. Qui (ovvero nel libro prima che nella serie) siamo andati oltre, e a caso risolto il monologo che precede la catartica nuotata finale di Montalbano lo dimostra appieno.
Una sorta di esordio inaspettato dei suoi pensieri sulla scena, che lo avvicina a Pepe Carvalho e a Maigret, personaggi a cui è stato accostato fin dai tempi della sua creazione (il dichiarato omaggio a Montalban non sfuggirebbe nemmeno ad un ospite di Tiki Taka che non sia Giampiero Mughini). Il Commissario in macchina stupisce gli assatanati della serie ripensando con voce fuori campo ad una cosa vista in un cantiere durante le indagini solitarie, sotto il diluvio (lui notoriamente meteoropatico): una piramide di fango, che dà anche il nome alla puntata (Per vederla QUI). Quante ne ha costruito la mafia con l’aiuto della politica e quante vittime innocenti dovranno ancora essere inghiottite prima che qualcuno riesca a far qualcosa? Chiede a se stesso Montalbano. Non è lo stesso personaggio che di queste grandi questioni ha sempre preferito non occuparsi, arrivando a “trattare” con potenti latitanti (in 17 anni delle sue avventure televisive incontra svariate volte di segreto Balduccio Sinagra, capobastone della casata mafiosa) pur di assicurare ai suoi casi quella verità giusta che va spesso oltre il confine delle regole (e quindi della vuota legalità) ma che invece punta al cuore della giustizia sociale. Per inciso, argomentazione che riporta per pochi istanti il dibattito sulla questione meridionale nei binari più alti della sua dimenticata e nobile storia.
Forse volevano solo babbìare, e se si tratta di uno sporadico sconfinamento lo scopriremo nelle prossime puntate (due episodi saranno girati dall’11 aprile a Ragusa e formeranno la serie che andrà in onda del 2017); sperando che non si sminchi questo principìamento di realismo intanto incassiamo il tributo ai cronisti minacciati; che qualcuno di loro abbia messo becco nelle sceneggiature? Forse ce ne vogliamo solo fare persuasi, un wishful thinking come dicono i mericani.
Oh, non sarà Spotlight ma questo passa il convento, anzi il commissario.