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Eravamo quattro amici al Nar

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri
Aprile28/ 2016

roma sagoma

Il Mondo di mezzo non è venuto su in un giorno. C’è un prologo sconosciuto alla storia che ha sconvolto Roma: si svolge all’ora d’aria del carcere di Rebibbia, nel 1982. Siamo ancora lontani dai fatti di “Mafia Capitale”, semmai ci troviamo nel mezzo di quelli che hanno ispirato “Romanzo Criminale”.

Renatino er Bambolotto (Enrico De Pedis, che la finzione letteraria e cinematografica farà ricordare come il Dandi) è fuori da poco; con i 15 milioni del primo bottino della banda della Magliana può iniziare a staccarsi dalle bravate di Trastevere e dai suoi personaggi neri per pian piano diventare il Presidente amico dei servizi e benefattore di Sant’Apollinare. In galera c’era finito per una rapina fatta con Alessandro D’Ortenzi  alias Zanzarone, a quei tempi abituale ospite nelle ville dei principi dell’eversione nera di fine anni ’70.

«Certo non giocavamo a briscola – racconta quest’ultimo al Corsera nel 1996 – si parlava di destabilizzare il paese con la compiacenza di quella gente. Una volta che il paese fosse caduto nel caos, si sarebbe arrivati a prendere il potere e si sa bene che a noi della destra piace il potere».

 

Cap. 1

IL GABBIO

Ma questa è una storia risaputa, e avviene lontana dal rettangolo di cielo sulla Tiburtina chiuso al resto della città. Quì invece, nel proscenio dietro le sbarre caro ai fratelli Taviani, compaiono, in ordine di apparizione, quattro ragazzi: Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Gianni Alemanno e Peppe Dimitri.

carminati
Massimo Carminati ritratto in tre distinte foto segnaletiche

Massimo Carminati, milanese diventato romano in adolescenza, finisce al gabbio a soli 23 anni (con un curriculum criminale già da paura) perché ritenuto reo degli arditi delitti del gruppo terroristico conosciuto come Nuclei Armati Rivoluzionari. Stava scappando, e c’era quasi riuscito. Lo catturarono al valico del Gaggiolo nel tentativo di darsi alla latitanza all’estero; a bordo di una Renault 5 azzurra con lui c’erano i due avanguardisti Domenico Magnetta e Alfredo Graniti, 25 milioni di lire e tre diamanti. La polizia (leggenda mai confermata narra grazie a una soffiata di Cristiano Fioravanti, fresco di pentimento) li aspettava alla frontiera con i fucili spianati. Quando i militi aprono il fuoco sono convinti che nell’auto ci siano i capi superstiti dei NAR: Francesca Mambro, Giorgio Vale e Gilberto Cavallini. Invece l’occhio trapassato dalla pallottola fu quello del futuro numero uno di Mafia Capitale, proprio per questo episodio rinominato er Cecato.

Buzzi, futuro ràs delle cooperative rosse e numero due dell’organizzazione criminale che in questi mesi è a processo proprio nell’aula bunker di Rebibbia, all’epoca della prima detenzione invece ha 26 anni ed è dentro per aver ucciso con 34 coltellate, il 24 giugno del 1980, un complice che lo aveva minacciato di rivelare ai superiori della banca per la quale lavorava il vorticoso giro di assegni falsi che i due solevano spartirsi impuniti e insospettati. Un alibi costruito in fretta e furia grazie alla complicità della fidanzata brasiliana poi la confessione, a cui seguiranno anni da detenuto talmente modello (sarà il primo in Italia a laurearsi in gattabuia, tesi sull’attività giornalistica dell’economista Pareto e 100 con lode in Lettere) da meritare la grazia concessa dal presidente Oscar Luigi Scalfaro e il passepartout per i salotti della Roma solidale.

Alemanno, barese adottato in riva al Tevere, nel 1982 ha 23 anni come Carminati ed è ristretto a Rebibbia per una molotov lanciata contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica. Non è la sua prima accusa: un anno prima era stato accusato d’aver preso a sprangate uno studente universitario con l’aiuto di altri tre camerati. In poco tempo sarà prosciolto da ogni accusa e più di qualche anno dopo, quando in molti hanno dimenticato, diventerà primo cittadino della Capitale italiana in quota Alleanza Nazionale, poi candidato al Consiglio Europeo per il partito di quella stessa Giorgia Meloni che oggi ambisce a diventare la prima donna sul Campidoglio e a ereditare la carica di sindaco della destra.

Gianni Alemanno ai tempi del Fronte della gioventù
Gianni Alemanno manifesta ai tempi del Fronte della gioventù

Oggi Gianni ha un po’ di processi di cui occuparsi e tanti seguaci con i quali dialogare su Twitter, ma all’epoca poteva parlare solo con una persona, il suo compagno di cella. Si chiamava Peppe Dimitri, romano de Roma. All’epoca 26enne, Dimitri era in carcere perché il 15 marzo 1979 figurava fra i terroristi che per commemorare la ricorrenza della morte del neofascista Franco Anselmi, ucciso un anno prima nel corso di una rapina in un’armeria, rapinarono vestiti da carabinieri un’altra armeria, la “Omnia Sport“, a due passi dalla Questura di Roma. Bottino niente male: una sessantina di pistole, quindici carabine e munizioni a quantità. L’impresa verrà rivendicata dai Nar ed ebbe infatti tra i partecipanti Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Alessandro Alibrandi. Il 14 dicembre 1979, in Via Alessandria, sempre a Roma, l’equipaggio di un’auto civetta della Polizia di Stato notò tre ragazzi che trasportavano alcuni scatoloni da un sottoscala ad un’automobile. Uno di loro era ancora Peppe Dimitri, che fu bloccato dagli agenti mentre stava per aprire il fuoco. Negli anni del post-ideologico entrerà in Alleanza Nazionale, ricoprendo il ruolo di consulente del suo vecchio coinquilino Alemanno durante il suo incarico di Ministro alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Poi nel 2006 perde la vita a 49 anni, travolto in un incidente stradale. Al suo funerale una folla di ministri, parlamentari, ex terroristi, giovani militanti e gente comune. La sua memoria è omaggiata da uno spazio verde all’interno del comprensorio di Colle Romito.

In realtà nella cella c’era anche Andrea Munno, all’epoca arrestato per un’aggressione, anch’egli nei Nar. Ovviamente lo ritroviamo nelle carte del processo a Mafia Capitale, nella parte dell’aggiudicazione degli appalti pubblici definiti dal capo dell’anticorruzione Raffaele Cantone:

familiari, per cui si invitano le imprese amiche e non quelle che hanno i requisiti. E delle imprese amiche non ci si cura nemmeno di verificare se effettivamente possono fare i lavori o devono essere escluse perché prive dei requisiti”.

 

Cap. 2

IL BAR

Amicizia vera, insomma, che arriva da un tempo lontano ma da posti sempre vicini. Una rete affaristica (una “mafia”) che spesso si sviluppa nei bar della Capitale. Dallo storico «Fungo», il bar all’Eur ritrovo di neofascisti – ma anche di criminali e malavitosi romani – fino al bar al largo di Vigna Stelluti, quartier generale in cui il Ros ha portato alla luce il sistema del Mondo di mezzo.

vigna stelluti
Le intercettazioni del Ros sotto il gazebo del bar frequentato da Carminati

Ma il bar po’ esse ferro come po’ esse piuma, e sotto i gazebo si gioca una vera e propria guerra d’intelligence fra guardie e ladri. Ogni mattina, ad orario tardo, la grappa è con la mosca e con la cimice, il caffè corretto al gps, il tressette è in diretta streaming e il virus nei telefonini. Microfoni direzionali e intercettazioni ad apparecchi fissi e mobili si bevono prima del cicchetto. Nel dettaglio di Vigna Stelluti, gli investigatori piazzano dieci cimici nascoste tra i tavoli del bar più due microcamere, una puntata verso l’interno del locale e l’altra verso l’esterno. Componenti del grande orecchio del Ros che intercetta ore e ore di conversazioni, fra cui la famosa in cui Carminati espone la teoria dei mondi. In un caso per questi minuscoli apparecchi stava per saltare tutto, quando la soffiata sulle cimici piazzate nello studio dell’avvocato Pierpaolo Dell’Anno – indagato per concorso esterno in associazione mafiosa – ha rischiato di far scoprire il marchingegno e con essa tutta la delicata fase d’inchiesta, ma alla fine, come saprete, il lavoro degli inquirenti è andato in porto nonostante i sospetti e le paure serpeggiassero sempre più frequenti fra gli indagati, in una serie di giornate sull’orlo della crisi di nervi.

Una tragica guerra di spionaggio all’amatriciana che va avanti per mesi e non manca di momenti comici, infatti, come quando uno dei destri di Carminati se la prende con un tecnico Sky scambiandolo per un poliziotto sotto copertura. E invece si trattava di una semplice parabola, come quella conclusa da un’attività di indagine costosissima per lo Stato, che ha dimostrato un danno erariale di milioni di euro e ha prodotto una mole impressionante di documenti in cui sono formulate accuse ora al vaglio del dibattito processuale che, fra le altre cose, è chiamato a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio l’associazione mafiosa e la corruzione in concorso di ben 46 imputati.

Sono bastati gli arresti, basteranno le condanne a fermarli? Se sono riusciti a trasformare le amicizie in un sistema vero e proprio lo dirà infatti la capacità di rigenerarsi tipica delle consorterie mafiose. Ora che un’altra campagna elettorale è avviata bisogna chiedersi se saranno stati capaci di sostituire i rami di comando spezzati dagli arresti per riscoprirsi ancora padroni della strada e dei tavolini dei soliti bar. Rispondere è un compito che spetta anche al giornalismo.

Di certo c’è solo che sarebbe stato più facile per tutti fermarli 34 anni fa, quando erano solo quattro amici al Nar.

 

(1 continua.)

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aggiornamento |  In aula bunker a Rebibbia, Luca Odevaine, a Roma vice capogabinetto prima del sindaco Veltroni e poi di Alemanno, ha ammesso di aver preso più di 15mila euro al mese per facilitare i protagonisti di mafia capitale: “Alemanno mi disse che per tutto il periodo della mia permanenza al Comune le due sue persone di assoluta fiducia a cui avrei dovuto far riferimento per qualunque cosa erano Riccardo Mancini e l’onorevole Vincenzo Piso che era stato in carcere con lui negli anni Ottanta e aveva finanziato la sua campagna elettorale. Quando a capo dell’Ufficio Decoro venne nominato Mirko Giannotta, segretario storico del Movimento Sociale di Acca Larentia e responsabile della tentata rapina nel maggio 2006 da Bulgari in via Condotti, e distrusse tutti gli archivi del materiale di pubblica sicurezza da me raccolto, decisi di lasciare Palazzo Senatorio e mi spostai in una stanza a piazza San Marco“. (1feb. 2017)

alfredo sprovieri
alfredo sprovieri

Nel 2002 ha fondato "Mmasciata". Poi un po' di tv e molta carta stampata. Più montano che mondano, per Mimesis edizioni ha scritto il libro inchiesta: "Joca, il Che dimenticato".

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