di Massimo Cerulo
(PARIGI, 23 novembre)
“E quel ponte lì?”, mi domanda la mia ospite parigina, mentre nei suoi occhi ancora riflettono le centinaia di piccole luci che ogni sera, alle 19 in punto, illuminano a intermittenza la Tour Eiffel dando vita al fenomeno che nello slang parigino viene definito clignotage. Seguendo il suo sguardo, noto che indica le quattro statue dorate che, adagiate sui piloni di ingresso del ponte Alessandro III, controllano il passaggio juste en face alla Tour. Le racconto che il ponte sta lì dalla fine dell’Ottocento a siglare l’amicizia franco-russa messa per iscritto dall’imperatore di tutte le russie Alessandro III, appunto, e il Presidente de la République Sadi Carnot. Non faccio quasi in tempo a dirle che fu inaugurato durante l’Expo (come si direbbe oggi) parigina del 1900 che la sua espressione di stupore mi fa sorridere. “Un’amicizia franco-russa?”, mi chiede, con un sorriso malizioso che mi ricorda l’indimenticata Anouk Aimée protagonista de “Un homme, une femme” (che in questi giorni i parigini hanno l’opportunità di rivedere al cinema in versione restaurata). Sì, le rispondo, un’amicizia franco-russa esattamente come quella che va, incredibilmente, configurandosi in queste ore…
Era infatti da poco apparsa in tv la dichiarazione dello zar attuale Vladimir Putin che, in un russo francesizzato dall’abitudine allo champagne, pronunciava il nome Fillon indicandolo come ottimo futuro Presidente della République. Il peso di tale dichiarazione è stata tale che 24 ore dopo, durante l’ultimo dibattito in diretta tv, Alain Juppé si è detto “stupito” di aver ascoltato una frase del genere, non spingendosi oltre nel giudicare il Putin in questione. Eppure, lo staff di Juppé aveva preparato il dibattito sapendo che il distacco da colmare è notevole (i soliti, inaffidabili, sondaggi parlano di una forchetta tra 17 e 24 punti percentuali, ma giusto una settimana fa prevedevano Fillon al terzo posto…): il vecchio politico doveva provare ad attaccare, a riprendere l’editoriale che Le Figaro aveva proposto mercoledì in suo supporto nel quale si evidenziavano i rischi della politica economica “thatcheriana” paventata da Fillon (500mila tagli nel pubblico, rigidità e rigore per almeno 2-3 anni) e si strizzava l’occhio a quella definita “chirachiana” che verrebbe portata avanti da Juppé (250 mila tagli nel pubblico e braccia aperte all’Unione Europea).
Di certo non necessario ma forse sufficiente a spegnere la suspense sul nome del vincitore di domenica, l’intervento dello zar Putin conferisce un nuovo sapore alle presidenziali primaverili. L’endorsement a Fillon fornito dall’ex kgb potrebbe rivelarsi per lui un boomerang, orientando i votanti moderati e liberali di centrodestra a scegliere altre strade? Al momento non vi è risposta a tale quesito, mentre tra 24 ore le urne si riapriranno per riaccogliere i francesi nella scelta del candidato finale di questo centrodestra che vira sempre più a destra e sempre meno al centro. Sul punto, ho avuto una articolata discussione ieri a colazione con alcuni colleghi dell’Ecole des Hautes Etudes, al termine del seminario che ho avuto l’onore di tenere nel corso della mattinata. Credete – chiedevo loro con una curiosità mista a interesse sociologico – che questa volta la Marine possa farcela? Oppure già domenica conosceremo il nome del Presidente? Come immaginavo, le risposte sono state discordanti: dal sociologo che reputava Le Pen incapace di reggere alla prova del ballottaggio e che quindi la vedeva crollare nel corso del voto decisivo, un po’ come si verificò alle recenti amministrative ed europee; al politologo che invece partiva proprio dai punti guadagnati dal Front National nelle ultime elezioni, come testimonianza di un radicamento del partito sul territorio francese e della “maturità ormai raggiunta da Marine per vincere finalmente un ballottaggio e vendicare, suo malgrado, quello storico tra Chirac e Le Pen senior del 2002, scontro che nessun francese potrà mai dimenticare”. Scontro, mi viene da aggiungere, che portò la Francia molto vicina a una deriva populista se non fascista che alla fine spaventò centinaia di migliaia di Francesi che nel segreto delle urne si affidarono alla confortante tradizione di Chirac.
Ad aprile saranno passati 15 anni da quel ballottaggio del 2002 e molti non avrebbero mai immaginato che la figlia di Jean Marie sarebbe stata (probabilmente) protagonista di una nuova sfida presidenziale in una Europa molto lontana ormai da quelle logiche di unità e collaborazione da Unione che fecero la forza di Chirac agli albori del Ventunesimo secolo. (2. Continua)
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