«Nun te move che vado a pia’ un secchio d’acqua». Dal primo piano di Villa Lubin vorrebbero togliersi quella che potrebbe essere l’ultima soddisfazione. In un paese che assiste alle ultime ore del testa a testa referendario, se c’è una Stalingrado del “No” si trova in queste mura di grande bellezza. Non è conservatorismo, si tratta più di spirito di conservazione. Il Governo con la riforma proposta al popolo elettorale intende infatti abolire l’articolo 99 della Costituzione che disciplina il “Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro” ospitato da questa struttura barocca nel cuore di Villa Borghese a Roma.
Si calcola infatti che dalla sua istituzione con legge ordinaria del 1957, il Cnel sia costato allo Stato più di un miliardo di euro a dispetto di un’utilità pubblica rivedibile (14 disegni di legge in 60 anni di attività), ma in realtà il costo è stato ridimensionato dalla legge di stabilità del 2015, che ha abolito indennità e rimborsi per varie ed eventuali e nel bilancio di previsione che si può trovare sul sito dell’ente si può leggere che il tutto ora ammonta ad una spesa per lo Stato di euro 8,715 milioni l’anno. Di certo c’è che quando di milioni di euro ne costava anche 20 ogni anno, il CNEL poteva contare su ben 121 consiglieri, poi il DPR del 20 gennaio 2012 ha portato il numero a 64: 10 esperti nominati dal Presidente della Repubblica (8) e dal Presidente del Consiglio dei Ministri (2); 48 rappresentanti delle categorie produttive; 6 rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato. Polmone di un paese che doveva fondarsi sul lavoro, oggi naviga nella disoccupazione generale con solo 24 consiglieri, soprattutto perché i 40 rappresentanti che si sono dimessi negli anni non sono mai stati sostituiti. A questi si aggiungono 57 dipendenti che anche in caso di vittoria del “Sì”, in quanto dipendenti pubblici, non possono essere licenziati e che finiranno alle dipendenze della Corte dei Conti.
Anche per questi motivi, l’atmosfera all’uscita della Villa che i rumors vogliono nel mirino del Consiglio superiore della magistratura (circa 3 milioni all’anno gli oneri di manutenzione per sale ricche di affreschi e un villino attiguo con una biblioteca da oltre 75mila volumi), è tutto sommato rilassata. Dal piccolo sciame che per la pausa pranzo scende dalle scale liberty disegnate da Pompeo Passerini si mimano labbra cucite, ma dopo, a pancia piena, ai piedi della “Fontana della Spigolatrice” realizzata in bronzo da Luigi De Luca qualche fessura si apre e Renzi non è proprio la parola preferita fra quelle fuori dai denti. «Tutti i governi europei hanno una struttura simile a questa», sostengono a microfoni spenti professionisti che per primi riconoscono i limiti delle gestioni passate, dimostrandosi ansiosi di mettere le proprie competenze al servizio del paese. Razionalizzando il funzionamento dell’ente, insomma, per i lavoratori del Cnel si poteva evitare di chiedere di buttare bambino e acqua sporca. «Ma hanno preferito sacrificarci sull’altare del populismo».
Andando via, il traffico di taxi su via Washington e gli Aerosmith a palla non turbano la siesta dell’autista di un auto blu “Thema” che risulta a noleggio; tutt’intorno l’atmosfera di Villa Borghese si abbina perfettamente a quello di una calma attesa. Su un tappeto di foglie rosse un uomo in loden verde dice al suo interlocutore: «Ne riparliamo dopo il referendum, buon fine settimana». Se lo sarà davvero lo diranno gli elettori.