di Francesca Pignataro e Linda Scaglione
All’università tutto bene, almeno per un pomeriggio.
Era prevedibile, complice i tanti posti riservati alle autorità, gli studenti dell’Università della Calabria sono stati smossi più dalla presentazione all’auditorium del nuovo disco della Brunori sas che dall’arrivo in aula magna del Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Come si scrive in questi casi, il cantautore cosentino ha infiammato la platea dell’Unical, tra una confessione, una battuta e qualche canzone. Sotto la pioggia una folla di studenti eccitati ha spintonato contro le porte del teatro per accaparrarsi i posti migliori, ma va annotato che non erano i soli ad aspettare Dario Brunori. Assiepati a vederlo giocare in casa, in una sorta di ritorno a Nanà land (per i brunoriani dell’ultimora: la provincia normale cantata in do che è stata concetto del suo primo album e del pezzo Nanà) c’era una parte di quell’umanità descritta nel suo nuovo disco “A casa tutto bene“. C’era chi resta attaccato al suo posto ma non vuole innalzare muri per barricarsi in casa propria e desidera confrontarsi con un mondo che è altro da sé. Durante la presentazione Brunori ha dato la notizia (29 marzo al Teatro Rendano di Cosenza l’unica tappa calabrese del suo tour), e si è sforzato di dar voce alle svariate personalità che popolano il suo condominio interiore, senza distaccarsi troppo dall’immagine che si diverte a dar di sé e senza prendersi troppo sul serio. Un Brunori un po’ cazzone, a tratti cinico e calcolatore, a tratti un po’ megalomane.
Ma c’è sempre qualcosa in più di noi da quello che vogliamo far apparire. Probabilmente questo ragazzo di provincia non è un disilluso come gli altri, ma qualcuno che attraverso una pensata critica della società tenta di trasformare quel sentimento tipico della modernità in qualcosa di costruttivo, e proprio ciò lo rende portavoce e custode di sentimenti che ormai hanno trovato una connessione con un pubblico vasto e diffuso su tutto il territorio nazionale. Sue interviste in queste settimane di lancio sono apparse su tutti i principali media italiani; siamo lontani anni dai primi incontri di Mmasciata nel suo studio di Rende a parlare de “il suo pubblico immaginario”, ma un tentativo di spogliare Brunori per arrivare alla pancia di Dario è forse per questo ancora più interessante.
Iniziamo con una domanda semplice: la morte di Bauman ha preceduto di poco l’uscita del tuo ultimo album. Lo hai ucciso tu nella speranza di dare maggiore visibilità al disco?
«Sarebbe stata un’ottima mossa di marketing, ma è stata una coincidenza, di certo non felice, ma questo è anche un modo per far tornare in auge un certo tipo di pensiero, che sento di sposare».
Ascoltandoti è impossibile non cogliere alcune influenze culturali che accompagnano il tuo pensiero. Qual è stato il libro o la canzone che ti ha salvato la vita?
«Cito sempre “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello, che ho incontrato a liceo, in un’età in cui cerchi la tua identità ed invece scopri che probabilmente dentro te vivono una molteplicità di figure. Sono un osservatore dei tipi umani e tutto ciò che mi fa guardare dentro e trovare collegamenti con gli altri mi affascina, infatti sono anche un grande appassionato di Gurdjieff. Non posso dire una canzone che mi ha salvato la vita, parlerei più di dischi. In una fase della mia vita è stato molto importante l’incontro con Lucio Dalla. “Com’è profondo il mare” è stato un album che mi ha dato un certo orientamento».
Nella società cellulare è molto più semplice costruirsi un’identità multipla. Dario quanto ha lavorato per costruire una certa immagine di Brunori e le due quanto sono sovrapponibili?
«Generalmente l’immagine che do di me sul palco è simile a quella che si vede fuori, anche con i miei intimi. Vivrei con grande disagio l’idea di avere un altro personaggio fuori dai contesti pubblici. Attraverso le mie canzoni ho sempre cercato di essere il più onesto possibile e spudorato, tentando di fare emergere le varie parti che mi compongono. In questo disco ho provato a rappresentare sia l’uomo che vorrei essere che l’uomo che sono. Questa cosa mi aiuta a comprendere meglio il mondo fuori, senza giudicarlo in modo manicheo».
Tu che animale ti definiresti? Pecora, maiale, lupo, cinghiale o hipster intellettualoide figlio della tv che si nutre di stereotipi?
«Penso ci sia tutto. La canzone “Sabato bestiale” potrei pensarla come un dialogo che faccio nel bagno di un locale, davanti allo specchio con me stesso. Sono sia il personaggio che mostra una disillusione totale e pensa solo a sé, sia la controparte che cerca di indirizzarlo verso la coscienza civile».
In una delle canzoni del disco, dai voce alla pittrice messicana Frida Kahlo; come ti sei ritrovato nei suoi panni?
«È stato un esperimento molto istintivo. “Diego ed io” è venuta fuori da una canzone che avevo scritto alla chitarra e che mi ricordava, a livello armonico, alcune ambientazioni sud americane. Mi piacciono inoltre le storie drammatiche e carnali e sono un appassionato di dissidi amorosi, forse perché io nella vita sono molto moderato e quindi sono attratto da chi vive la passione in maniera meno controllata».
In un mondo sempre più diviso tra noi e loro, pensi che le parole bastino ancora o si rischia di trasformarle in nascondigli dalla realtà?
«Se scrivo canzoni significa che credo nella possibilità della parola, ma ci credo nella misura in cui non venga investita di un ruolo maggiore di quello che ha. Il problema è che a volte ci rifugiamo nelle parole, mente l’ideale sarebbe avere un equilibrio. In questo disco mi sono sforzato di indossare i panni di chi rappresenta un mondo che è altro da me e tento di impersonare anche la parte scomoda. In questo meccanismo narrativo risiede la possibilità di raccontare gli eventi, creando delle suggestioni nell’ascoltatore».
Alle prossime parole, allora.
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in copertina: illustrazione su foto di Michele Piazza
il disco: A casa tutto bene, Picicca Dischi/Sony Music