di Francesca Pignataro
Perché non sconfiggiamo il califfato nero? Partendo da questa domanda, che potrebbe sembrare quasi retorica, ha avuto inizio l’incontro con Corrado Formigli, noto giornalista e conduttore del programma televisivo Piazza Pulita, che ogni giovedì sera va in onda su La7. Formigli, ospite nella terza giornata del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, è stato intervistato dalla giornalista Barbara Serra, e assieme hanno ripercorso il contenuto del suo ultimo libro “Il falso nemico. Perché non sconfiggiamo il califfato nero”, pubblicato nel 2016 da Rizzoli.
“Il falso nemico è un nemico che si finge di combattere, ma che non si combatte realmente, sia per ragioni strategiche che geopolitiche.”
Il falso nemico cui si riferisce Formigli è l’Isis, che inizialmente si scontrò bruscamente solo con i combattenti curdi, mentre le preoccupazioni dell’Occidente erano focalizzate ancora sulla crisi economico-finanziaria del 2007-2008. Secondo l’opinione pubblica però, esiste anche un altro nemico che si muove verso occidente, simboleggiato dai profughi che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste. Movimenti xenofobi e populisti identificano in loro la principale causa del malessere economico e sociale che investe sia i paesi europei che americani. Per Formigli si tratta ancora una volta di un falso nemico; dal suo punto di vista infatti sono proprio i profughi a rappresentare una chiave di volta per fronteggiare il problema del terrorismo islamico. Questi uomini e queste donne, assieme ai propri figli e nipoti, sono spesso costretti ad abbandonare i propri Paesi d’origine per fuggire da regimi non democratici, proprio per questa ragione, secondo Formigli, dovrebbero essere inclini a collaborare per la definitiva eliminazione di Isis e per la diffusione di una nuova ondata di democratizzazione, capace di coinvolgere anche i paesi del vicino e Medio Oriente, adattandosi però alle caratteristiche culturali dei singoli territori, senza tentare nuovamente di esportare il modello della democrazia americana.
Da inviato di guerra, che ha sentito l’odore della carne bruciata in seguito ad un attentato e che ha camminato in una poltiglia umana, una delle sofferenze più grandi per Formigli sembra essere rappresentata dal fatto che, come ci confessa nel corso dell’incontro, “anche da morti abbiamo bisogno di avere il passaporto giusto affinché la nostra scomparsa sia un evento rilevante.” Formigli ci racconta che, dall’altro lato, spesso siamo noi occidentali ad essere considerati dei nemici da odiare, almeno finché non proveremo dolore per le sofferenze che affliggono anche altri popoli. Per il giornalista di La7, una delle possibili soluzioni alla radicalizzazione, fenomeno in crescita anche tra i giovani nati in paesi europei, come ad esempio la Francia, è rappresentato dall’inclusione sociale, possibile solo se si è disposti a convivere in un contesto multiculturale senza chiedere agli altri di rinunciare alle proprie tradizioni, nei limiti del diritto, come avviene nel sistema britannico.