A distanza di tre anni da quel tragico 24 maggio 2014 – quando, a seguito di un intervento dei carabinieri di Mirto Crosia morì il ventinovenne Vincenzo Sapia (leggi qui la sua storia) – l’accertamento dei fatti sembra arrivato a un punto apparentemente morto. Per ben due volte il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta ma, entrambe le volte, il giudice per le indagini preliminari ne ha rigettato la richiesta. La prima volta ritenendo che «ci fossero troppi aspetti meritevoli di ulteriore approfondimento» soprattutto riguardo il comportamento dei militari e la seconda volta, il 31 marzo 2016, richiedendo «ulteriori consulenze medico-legali, in particolare cardiologiche». Risultati importanti per la difesa, frutto della caparbietà della famiglia e soprattutto della sorella Caterina, ma anche della nota competenza dell’avvocato Fabio Anselmo, che ha fatto di tutto per scongiurare l’archiviazione. Abbiamo chiesto proprio all’esperto legale, già difensore delle famiglie Cucchi, Aldrovandi, Magherini e Bergamini, di spiegarci il suo punto di vista sugli ultimi sviluppi di questa vicenda.
Avvocato, perché a distanza di tre anni dalla morte di Vincenzo Sapia, la vicenda è ancora arenata davanti al Gip del Tribunale di Castrovillari e non si è ancora arrivati ad un processo?
«È vero c’è un ritardo, ma noi attendiamo con ansia che la procura faccia quegli accertamenti medico-legali che mancano, perché penso che il Gip si sia già espresso sulla non correttezza dell’intervento operato dai carabinieri a danno del povero Vincenzo Sapia. Siamo sicuri che questi nuovi accertamenti possano dirimere ogni dubbio sulla morte di Vincenzo, portandoci al processo».
Perché ci sono così tanti aspetti meritevoli di un ulteriore approfondimento? È possibile che le indagini nella prima fase siano state condotte in maniera lacunosa?
«Le indagini secondo me non sono state così lacunose, il fatto è emerso chiaramente ed è suscettibile di essere raccontato in un processo. Ciò che è stato davvero imbarazzante sono le consulenze del medico legale».
Già al primo tentativo di archiviazione avevate presentato una nuova relazione medico-legale che smentiva le conclusioni del consulente tecnico. Questo non è bastato. Servono ulteriori consulenze cardiologiche?
«La nostra relazione ha convinto il giudice a non archiviare. Le dissertazioni medico-legali del consulente della procura sono state giustamente criticate dal giudice sulla falsa riga di quanto da noi dimostrato perché contengono una contraddizione intrinseca. Io credo che la morte di Vincenzo Sapia esiga verità e giustizia».
Già nel 2014 il Comando generale dell’Arma aveva inoltrato a tutte le caserme precise indicazioni sulle linee di intervento in caso di soggetti in evidente stato di alterazione psicofisica. Queste procedure sono state rispettate?
«I carabinieri hanno delle circolari anche precedenti a questa che dicono come ci si deve comportare nel momento in cui ci si trova davanti a una persona che non è in sé per motivi non addebitabili alla sua responsabilità. Vincenzo Sapia era spaventato perché cercava il suo cane. Aveva dei problemi psichiatrici, ma non aveva mai fatto male a nessuno. Le argomentazioni delle difese sono imbarazzanti quando dicono che i militari sono intervenuti perché c’era una scuola e l’ufficio postale lì vicino. Lui non ha mai aggredito nessuno, lui ha soltanto sbattuto i pugni contro una porta. Questo, di fatto, ha determinato l’intervento dei carabinieri che si è tramutato, anziché in un tso con l’intervento dei sanitari, in un arresto insensato e ingiustificato. Non c’era nulla che potesse giustificare un arresto. È emblematico l’atteggiamento di Vincenzo che quando gli vengono chiesti i documenti si spoglia per dire: “guardate io sono questo, non ho niente addosso, non sono armato”. Era una persona che aveva bisogno di aiuto, non una persona sulla quale esercitare la violenza di un arresto. Questo secondo me è assolutamente intollerabile. Vincenzo era conosciuto da tutti i carabinieri che sono intervenuti tranne uno e, in un paesino piccolo come Mirto Crosia, è surreale invocare la legittimità di quell’intervento».
E’ possibile, dunque, che l’immobilizzazione prolungata del giovane Sapia ne abbia provocato la morte?
«Vincenzo è morto per morte asfittica, come sono morti Riccardo Magherini, Federico Aldrovandi e Riccardo Rasman. Bisogna piantarla di trattare come delinquenti le persone che sono in difficoltà psichica e psichiatrica. Il problema è questo: il criminale vero, quando fa resistenza ma si rende conto di essere sopraffatto, si ferma perché ha la consapevolezza di ciò che gli sta capitando e dell’inutilità di ogni suo sforzo. Invece l’invalido psichiatrico che è terrorizzato e ha paura per la sua vita non si ferma mai. Anche quando è sopraffatto dalla forza fisica degli agenti continua a dimenarsi e ad agitarsi in maniera sempre più disperata e questo gli causa un bisogno di ossigeno sempre maggiore che non riesce a soddisfare se è messo in posizione prona o se è preso per il collo. Sono tutte posizioni e situazioni note da decenni».
Secondo Lei, quindi, la morte di Vincenzo si poteva evitare?
«È una morte che si doveva evitare, perché non doveva essere arrestato. Ritenere una persona pericolosa perché è matta significa essere razzisti».
Quali nuovi scenari si aprirebbero se si arrivasse a un processo? Potrebbero esserci testimonianze che aiutino a ricostruire precisamente l’azione dei militari?
«Ci sono già delle deposizioni che poi sono state rettificate in corso d’opera e la genuinità delle rettifiche lascia molto perplessi, ma in ogni caso il corpo di Vincenzo Sapia parla chiaro. Se il giudice ha detto che bisogna stabilire il nesso causale che ha portato alla morte di Sapia mi pare evidente che abbia già espresso un chiaro giudizio sulla condotta dei militari. Confidiamo nel procuratore Facciolla e in una rapida richiesta di incidente probatorio».
In Calabria lavora a un altro caso, molto più noto al grande pubblico; il procuratore ha chiesto l’incidente probatorio e quindi la riesumazione del corpo di Denis per nuove avanzate analisi: dopo 28 lunghi anni di attesa siamo finalmente ad un punto di svolta decisivo nella ricerca della verità sul caso del calciatore Bergamini?
«Si, siamo ad un punto di svolta e questo grazie al procuratore Facciolla che ringraziamo perché ha saputo ascoltarci e ha avuto una grande sensibilità. C’erano e ci sono gli strumenti medico-legali per fare chiarezza al di là di ogni ragionevole dubbio e per dimostrare quello che è successo a Denis Bergamini. Nel momento in cui si dimostrasse, come secondo me è dimostrabile, che era già morto o comunque in fin di vita nel momento in cui è stato sovrastato dal camion è chiaro che la posizione di Isabella Internò e Raffaele Pisano, il conducente del camion, diventa pesantissima».
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In copertina | Fabio Anselmo abbraccia Ilaria Cucchi