In principio fu Monsù Travet. Quattro aprile 1863, teatro Alfieri di Torino. Vittorio Bersezio porta in scena una commedia in dialetto piemontese sulle amare sfortune quotidiane di un servitore del re e realizza un successo incredibile, che scava nell’immaginario collettivo portando a galla la crisi della società burocratica postunitaria. Un’eredità lungamente dimenticata, che viene raccolta solo nel 1971 dal libro “Fantozzi” di tal Paolo Villaggio, pubblicato nel 1971 per i tipi di Rizzoli e diventato in pochi mesi un best seller internazionale da un milione di copie. Quattro anni dopo venne l’omonimo film, primo di una serie di dieci pellicole fatta di tremendi sorteggioni imposti da direttori megalattici e megaconti a dipendenti merdacce destinati a crocefissioni in sala mensa e improbabili imprese sportive borghesi. Un ritratto eccezionale della società italiana perché dinamico, che vive nell’incontro scontro di due mondi che finiscono per riconoscersi nelle loro meschinità e riappacificarsi nell’incapacità di coniugare i verbi al congiuntivo.
Cosa si può dire che già non si sa sulla grande opera dell’artista genovese scomparso oggi all’età di 85 anni? Forse due cose: il personaggio del ragioner Ugo Fantozzi si ispira a una persona reale, tale impiegato Bianchi della Cosider di Genova, industria metallurgica dove Villaggio ha lavorato prima di viaggiare per mari a bordo della Costa Crociere con l’amico di una vita Fabrizio de Andrè e di abitare a Londra, dove divenne uno speaker della Bbc. Una seconda cosa importante che spesso si dimentica è che il successo di Fantozzi, prima che ancora letterario e cinematografico, è un successo giornalistico. Il primo libro infatti rielaborò e raccolse i racconti “La domenica di Fantozzi” usciti su L’Europeo a firma del raffinato comico che il piccolo schermo stava imparando ad amare nei panni del prestigiatore dottor Kranz e del tragicomico Giandomenico Fracchia. Non sono le uniche esperienze esperienze giornalistiche di Villaggio, che al cinema ha portato anche la misera vita di un cronista da strapazzo che vince la lotteria di Capodanno ma perde il biglietto; oltre alla già citata e decisiva collaborazione con L’Europeo, da ricordare è l’esperienza come editorialista con Paese Sera di Giorgio Cingoli negli anni Sessanta, dove tiene per anni la spassosa rubrica di “Lettere al direttore” che iniziavano sempre: Caro dirett. Gran lup mannar, Test. de. caz. e Gran figl. mignot. e così via. Poi un periodo meno prolifico e significativo del precedente, con l’esperienza da editorialista con L’Unità diretta da Walter Veltroni, per L’Indipendente firmato da Giordano Bruno Guerri e infine di nuovo con L’Unità, dove nel 2009 svolge il ruolo di editorialista nelle vesti di un Fantozzi di propensione leghista.
“In Italia il clown quando muore diventa grande”, disse Villaggio in tv alla tribuna politica che lo vedeva protagonista nel 1987. Accanto a mille allori artistici non disdegnò infatti l’impegno politico: candidato da capolista con Democrazia Proletaria spiegava agli elettori perché ritenesse importante lottare al fianco delle minoranze e contro le discriminazioni di cui il paese governato dalla Dc era intriso da una postazione diversa da quella ormai di potere rappresentata dal Pci, partito comunista per il quale aveva sempre votato. Nel 1994 è stato candidato con la Lista Marco Pannella nel collegio uninominale di Genova – San Fruttuoso e nell’ultima fase della sua vita ha annunciato il suo voto a favore del Movimento 5 Stelle del suo amico Beppe Grillo.
Per tornare all’ambito artistico, più delle innumerevoli e comunque significative e intense opere drammatiche di Villaggio, ci fu un progetto strano e visionario che rischiò di far impallidire la fama del suo Fantozzi. Si chiamava Mastorna detto Fernet, un personaggio cardine del film che Federico Fellini sognò di fare per gran parte della sua vita senza purtroppo riuscirvi. Il protagonista sarebbe dovuto essere proprio Paolo Villaggio, ma il film non riuscì mai a concretizzarsi anche per motivi scaramantici e arrivò al pubblico come fumetto disegnato da Milo Manara; inizialmente previsto in tre puntate, quando un errore di stampa fece comparire la scritta “Fine” al posto di “Continua” il regista si decise di non proseguire con un progetto che un amico mago gli predisse come maledetto.
Resta così Fantozzi l’opera iconica di Paolo Villaggio, un successo duraturo lanciato da una grande stagione di giornalismo, cinema e letteratura italiani, un’opera ammirata dai critici alla Corazzata Potemkin quanto adorata dalle masse sfruttate, oggi forse ancora più in grado di identificare e allo stesso tempo esorcizzare nelle frittatone di cipolle del ragioniere la resistenza precaria e disperata degli inferiori italiani, sempre nello stesso sottoscala della società dai tempi del Travet a quelli di Fantozzi e oltre.