La macchina bianca che la sta riportando alla favela che chiama casa arranca nel traffico: pieno centro di Rio de Janeiro, 21 e 30 circa del 14 marzo 2018.
Quattro chilometri prima, la riunione alla Casas das Pretas a Lapa si era protratta di una mezzoretta più del previsto. Al centro di un candomblè di odori colori e profumi unico al mondo, un capannello di donne nere è ancora davanti la saletta a discuterne quando viene raggiunta dalla notizia più disperata: hanno ammazzato Marielle Franco.
L’auto crivellata di colpi su cui viaggiava Marielle Franco con il suo staff (foto Fohla de São Paulo)
Tredici proiettili calibro nove millimetri sparati da un’auto scura con targa di fuori città (si rivelerà clonata) investono l’utilitaria dal suo lato destro a circa 1300 chilometri all’ora, l’impatto è un incubo istantaneo: quattro colpi sono per la testa di Marielle, uccisa a sangue freddo. Tre pallottole la trapassano e raggiungono ai fianchi, ferendolo a morte, Anderson Gomes, 39 anni, un autista Uber che saltuariamente accompagna la paladina dei diritti umani nei suoi spostamenti. Non viene rubato niente, è un’esecuzione in piena regola, orchestrata da mani professioniste che, lo sveleranno immagini riprese da telecamere di sicurezza, seguivano la vittima da almeno due ore.
Sul sedile posteriore dell’auto, accanto alla giovane consigliera del Partito socialista (Psol) uccisa, c’è anche la sua amica e addetta stampa, unica sopravvissuta all’agguato. Mentre prova a guarire da una ferita che non si può rimarginare, ora collabora a indagini che le piazze di mezzo mondo pretendono siano celeri e certe.
Sono passati dodici giorni dall’omicidio della 38enne Marielle Francisco Da Silva, e sempre più persone scendono in strada a migliaia di chilometri dal suo Brasile per invocarne il nome e gridare: “Presente!“. Perché? In una Rio de Janeiro in preda a una spirale d’ingiustizia sociale quasi inaudita si muore ogni giorno in questo modo, eppure la notizia che di solito fatica a trovare un trafiletto sui quotidiani internazionali stavolta apre l’edizione del Washington Post, e lo fa perché ai migliori giornalisti del mondo è chiaro fin da subito che non hanno giustiziato una donna qualunque. A caldo infatti il Guardian la definisce un campione della sua generazione, il Time un’icona che ben presto diventerà mondiale; basta pensare alla telefonata di condoglianze fatta alla madre da Papa Francesco per capire quanto entrambi abbiano ragione. Marielle è nata e cresciuta in una delle baraccopoli più povere di Rio (Complexo da Marè) e dopo mille sacrifici si è riscattata prima con una borsa di studio e una laurea in sociologia, poi restituendo alla sua comunità un impegno politico che in breve tempo l’ha portata ad essere uno dei politici più amati del Brasile. Nera, gay e donna: viene eletta al primo turno con molte preferenze come baluardo delle minoranze più oppresse, ed è un simbolo che si rivela fin da subito efficace. Nei discorsi pubblici e negli interventi in aula infatti brilla non solo per la bellezza del suo sorriso ma per coraggio e preparazione rivolti alla difesa degli ultimi.
“Io sono perché noi siamo” era lo slogan che amava ripetere Marielle Franco in ogni incontro pubblico.
Di poche ore prima dell’agguato è una dura presa di posizione contro le violenze delle forze di polizia militari che da gennaio hanno il commissariamento dell’ordine pubblico in città; sarebbe fin troppo facile credere che sia stata questa la sua condanna a morte, ma in Brasile da tanti anni non si vede una cosa facile.
Ripartiamo dall’arma del delitto: una fonte investigativa ha rivelato ai media brasiliani che le munizioni usate per l’agguato provengono da un lotto acquistato dalla polizia federale di Brasilia nel 2006. La stessa partita di proiettili è stata già utilizzata nell’agosto del 2015, per la strage che nello stato di San Paolo è costata la vita a 23 persone e ha portato all’arresto di 4 agenti di diversi corpi militari, accusati di aver ordito la mattanza per vendicare l’assassinio di due colleghi in due tentativi di rapina.
È questa pista che porterà a individuare i killer di Marielle? Difficile dirlo ora, per il riserbo delle indagini e per l’intricato puzzle di tessere impazzite nella guerra al narcotraffico. Si tratta di un conflitto che ogni giorno fa più morti che in Siria e che, come ogni guerra, fatica a distinguere fra i suoi protagonisti il grano dal loglio. È difatti frequente che dotazioni militari finiscano in mano della criminalità brasiliana, il mercato nero delle armi è sempre più florido e lascia cadaveri per strada da entrambe le parti, spesso coinvolgendo gente inerme e innocente, come capitò a uno dei migliori amici di Marielle Franco, un evento che ha segnato il suo impegno futuro in maniera manifesta.
La folla oceanica che ha invaso le strade di Rio de Janeiro all’indomani del delitto di Marielle Franco
Passiamo al movente. Chi parla di delitto politico ha più di un motivo valido per farlo, ma anche questa traccia si presenta ingarbugliata, tanto più per una campagna di bufale ad arte su Marielle che in questi giorni è riuscita, prima di essere completamente smontata, a fare capolino sui media e sui social network. Per esempio, un profilo social molto seguito che tifa per l’intervento diretto dei militari nella vita politica del paese ha diffuso diverse notizie false su Marielle Franco, del tipo che ha avuto una figlia a 15 anni, che è stata sposata con un re delle bande armate e che la sua elezione è stata trainata dai voti del cartello delle narcomafie che infestano la zona da cui proviene.
Tutte fake news, decostruite (leggi qui) solo dopo che hanno fatto il fantomatico giro del Web anche grazie ai tweet (poi rimossi) da alcuni politici di destra molto in vista in Brasile. Di certo cosa resta? Che a novembre si vota per le presidenziali ma che non si sa ancora se Lula, al centro di una serie di indagini per corruzione, sarà candidabile. Intanto l’area di sinistra che con il suo Partito dei lavoratori (Pt) ha guidato fino all’impeachment di Dilma il paese, sembra essere favorito nei sondaggi. “Provando a uccidere lei hanno provato a uccidere 46mila elettori“, ha scritto la figlia 20enne di Marielle, una donna che prima di venire uccisa in modo barbaro in quello schieramento stava crescendo di popolarità in modo vigoroso e rapido. Forse troppo.