Oggi è lunedì a Madrid, ma tutti i giorni sono lunedì quando si è in guerra. La frase non è mia, me ne guarderei bene, non viene nemmeno da tempi lontani. L’ha detta sabato 21 marzo il generale aviatore Miguel Ángel Villarroya, Capo di stato maggiore della difesa durante una delle conferenze stampa giornaliere in cui uomini con le medaglie sul petto si alternano al primo ministro Pedro Sanchez, ai suoi ministri e ai tecnici responsabili dell’emergenza. Per Villaroya era lunedí ed era importante provare a scongiurare l’esodo dei madrileños nelle loro seconde case durante il fine settimana, la versione spagnola dei fuorisede che dal Nord Italia tornano verso il Sud.
Non esitano neanche un minuto in Spagna a definirla guerra. Loro che durante la Seconda Guerra hanno avuto un ruolo marginale, ma che i militari li hanno avuti al comando fino al 1975. Quando si è in guerra, si usano tutte le armi possibili e si chiamano gli uomini con le medaglie sul petto. La struttura dello stato spagnolo, così democratica da convocare quattro elezioni generali in meno di cinque anni, è stata costruita senza mai fare i conti col passato franchista. Per accentrare tutto il potere, anche in Catalogna e Paesi Baschi, mandare i militari a bonificare case di riposo, stazioni, aeroporti, a costruire ospedali da campo, portare la spesa agli isolati e a occuparsi della logistica sono bastati pochi giorni.
Ciò ha reso le forze dell’ordine libere di un controllo capillare sul territorio, 30mila denunce per chi viola lo stato d’allerta e centinaia di arresti per resistenza a pubblico ufficiale. Non sorprende neanche tanto vedere il video di due poliziotti a cavallo lanciarsi al galoppo dietro un ciclista che non si era fermato all’alt.
Già quando il decisionismo e la poca burocrazia spagnola venivano esaltate da Don Fabio Capello, a me restava qualche dubbio…
Giá, lo stato d’allerta. Sanchez fin da subito è entrato in guerra con un bazooka. Le misure restrittive sui movimenti delle persone erano già più restrittive di quelle che Conte avrebbe varato una settimana dopo. Niente aperitivo a Ponzano o a Malasaña, anche se da tempo i ristoranti erano già vuot, perché la paura di quanto stava succedendo in Italia era arrivata prima di qualsiasi decreto.
Sanchez, in più, nazionalizza cose: ha requisito (tecnicamente comprato) intere linee di produzione per garantire gli strumenti necessari a combattere il virus. Tutto sotto forma di “suggerimenti” e “inviti alla collaborazione”. Ma quando in TV va qualcuno con tante medaglie a dire che ogni giorno è lunedì, si suppone che agli inviti potrebbero seguire provvedimenti più duri.
Così alcune industrie cosmetiche hanno riconvertito le loro linee per produrre soluzioni idroalcoliche, i materiali per produrre le famose mascherine sono stati precettati, si vocifera che anche Inditex (Zara etc.) stia collaborando per produrle. Ha invitato ogni laboratorio di ricerca pubblico e privato a inviare guanti, mascherine e alcol, ma anche strumenti di PCR e stampanti 3D.
Sanchez dice che a breve saranno autosufficienti e provvederanno a fare un grosso stock, invocando ancora una volta un’economia di guerra, in cui gli ordini provenienti dall’estero vanno scortati coi militari. Oltre alla nazionalizzazione temporanea delle strutture sanitarie e delle case di riposo private, Sanchez ha mobilizzato infatti 52mila fra medici e infermieri pensionati o laureandi, adibito gli hotel a centri di isolamento per i contagiati senza sintomi gravi e costruito un enorme ospedale da campo da 5mila posti (e 500 di terapia intensiva) nell’area della fiera di Madrid.
Madrid preoccupa tutti: perché è proprio nella Capitale che si vive la situazione peggiore. Sono finiti i posti nelle terapie intensive, si corre contro il tempo per abilitare altri reparti, il virus è entrato con forza nelle case di riposo dove sta mietendo molte vittime e dove i familiari lamentano la mancanza di interventi medici nelle strutture dove non entra più nessuno.
Tornando a febbraio dall’Italia (e messo in quarantena), ho avuto l’impressione che Madrid intera stesse tossendo nel metro, la curva di contagi sembra confermare questa mia impressione. La risposta dei cittadini alla prima settimana di “confinamiento” è stata tutto sommato positiva, la gente accetta le misure e ne capisce l’importanza. Alle 20, l’appuntamento è alle finestre per applaudire il personale sanitario, tornerò più in là su questi applausi. Qui una settimana è andata, ne mancano tre (lo stato di allerta sarà prolungato oggi), e io un balcone non ce l’ho.