
Piangi Toro, piangi. Più che i goal di Immobile i granata campano delle giocate di Cerci. Punta esterna, ala, centrocampista offensivo. Le iperclassificazioni del football 3.0 non possono contenere cuore, polmoni e piedi di un calciatore chiamato da Prandelli nella top 30 pre-Brasile. E se non l’avesse convocato sarebbe stato lo stesso. Tutto uguale. Tremendamente. Fino a quel rigore contro i viola del bravo Montella. Il mancino granata calcia sul portiere. Sulle spalle di questo talentuoso prodotto italico si ferma la corsa europea del Torino. Fin qui la cronaca di una domenica di fine campionato, aspettando una pizza orribile senza basilico. Lacrime e carità per l’animale ferito. Storia e Kabbalah fanno sempre la differenza. Piazza Cavour è soprattutto invasa dai pianti. Bella e triste come il tango. Da Superga al dandy Meroni, occhi pesti e lacrime accompagnano gli undici sabaudi più della gioia. E c’è un’estetica severa in questo rincorrersi di tristezza e piccole prodezze. Ho imparato il ritornello da piccolo. Che fortuna avere un amico di infanzia del Toro. Ci sono squadre incapaci di essere soltanto undici ometti in un rettangolo verde. Una di queste è il cuore granata contro l’ingegner Valletta e l’avvocato Agnelli. Magia, superstizione, aneddoti. Come il tacco di Valentino Mazzola in grado di mettere il pallone nel taschino dell’arbitro. La mia parte granata, ma non ditelo a quella juventina, ricorda il pizzetto di Martin Vazquez e l’Europa a un passo col belga dal cognome nostrano. Vincenzino Scifo forse non è figlio di un “mineur” morto a Marcinelle, ma resta comunque un italiano che non è passato inosservato in un decennio dominato da giganti. Corri Toro, corri. Come Salvatore, il mio amico dai piedi buoni e la passione per i campi polverosi e quelli disegnati sull’asfalto. Un giorno mia nonna tornò da Lourdes. Non riuscii mai a capire perché la sua carovana di pellegrini si fermò a Superga. Qui comprò per me spille, cartoline e gadget granata. Bagicalupo, Loek, Mazzola. Nomi e mito dei tori che non vinsero la Coppa dei campioni solo perché ancora non esisteva. Ora sono silenzio e memoria. Ma quel dono non poteva essere mio perché vivevo sull’altra sponda del dio Po. Corsi a casa di Salvatore. Non vedevo l’ora di tirare fuori quanto spettava a lui per diritto. E così feci con mia e sua grande gioia. Penso che non dimenticherà mai questo regalo. Nemmeno Cerci scorderà il penalty all’Artemio Franchi. Ma non pensarsi troppo Alessio. Non serve De Gregori per sbagliare un calcio di rigore e non morirci dalla rabbia. Corri a Superga, prega sull’altare del calcio e otterrai l’indulgenza plenaria. Magari prima passa da Lourdes, come fece mia nonna. E portami la foto di Mazzola. Tanto poi la darò a Salvatore. In alternativa puoi regalarla tu a Mondo Mondonico, altro profeta granata di virtù e mestizia.