Si scrive “La Merda” ma si può tranquillamente leggere “Italia”. Solo uno sciocco potrebbe concentrarsi semplicemente sulla nudità di Silvia Gallerano in scena mentre interpreta il testo scritto da Cristian Ceresoli nel 2012 e che è valso allo spettacolo il prestigiosissimo Fringe first award for writing excellence (oltre a tanti altri riconoscimenti di livello); una performance che da tre anni gira i teatri di tutto il mondo e approdata finalmente al Teatro dell’Acquario di Cosenza. E’ inutile prendersi in giro, in molti si avvicinano a “La Merda” perché (almeno agli esordi), sanno di vedere un’attrice in nude look sul palcoscenico che non è proprio una cosa di tutti i giorni. Entri in sala e vedi la Gallerano, scricciolo di donna ma con un carattere artistico di livello altissimo, svestita su un trespolo con un microfono in mano canticchiare con vocetta turbata l’inno nazionale italiano. Vocetta turbata perché turbato è il personaggio che lei interpreta il cui racconto inizia parlando della morte del padre. “Certo che ci vuole un gran coraggio – dice già quando il suo nudo non fa più scalpore perché le sue parole diventano vestito e poco importa, mentre recita, cosa indossi se la sua pelle o un tessuto – a oltrepassare la linea gialla e buttarsi sotto il treno in corsa e senza nessuno che ti incoraggi”. Un padre, una madre, una famiglia intera che ha turbato l’infanzia della protagonista che si vede ragazzina dalle cosce grosse. Cosce da sistemare e “curare”, con il papà ad accompagnarla da quella signora dalla bocca grande che le metteva gli elettrodi su quelle cosce, elettrodi che pungevano e che la facevano sembrare ancora più diversa dagli altri. Il diverso spaventa quella ragazzina, quella ragazzina che vuole diventare altro, che vuole diventare qualcuno in modo che la mamma non le dica più che ha pensieri strani per la testa, che vuole diventare un orgoglio per il padre, un orgoglio per la nazione. Tutto questo richiede sacrifici, richiede anche masturbare un compagnuccio di scuola media disabile perché non si può dire di no a certe cose anche se fanno schifo e allora tutto passa se ascolti il tuo cantante preferito mentre compi quell’atto interrotto bruscamente dal ragazzo perché è giunto al piacere e lei resta lì, sola. Abbandonata alla volontà e alle esigenze del maschio. La Gallerani cerca riscatto e questo suo desiderio passa per il fisico, per la sua voce, per quelle signore al supermercato la guardano e la riconoscono. Passa anche per una pubblicità. Viene contattata per un provino dalla tv, il suo sogno o meglio il sogno che questo Paese-azienda impone a lei, alle persone fragili e diverse come lei per cercare il riscatto, una pubblicità in cui lei deve ingrassare. Sì ingrassare nonostante abbia combattuto tutta la vita per smussare quelle cosce grosse ma è la sua occasione e lei non vuole sprecarla nemmeno se “deve succhiarlo a qualcuno” che conta anche se poi questo non conta davvero in fondo è prassi risaputa in certi ambienti sottolinea. Tutto finisce nel suo stomaco, nella sua anima: il cibo, le sensazioni, il dolore, la voglia di essere qualcuno. Tutto questo le gonfia le viscere proprio a poche ore dal provino in cui deve cantare l’inno nazionale in quella pubblicità che celebra i 150 anni di un Paese unito ma che unito non lo è mai stato. Scoppia la pancia della Gallerani e dalle sue terga esce tutta la merda che ha dovuto ingoiare negli anni ma lei non può dimagrire, deve rimanere grassa per il suo sogno. Riempita solo di quella merda che la società le ha sempre proposto, entra nel ciclo produttivo della merda stessa e quelle feci sociali le ingurgita nuovamente dopo che sono uscite dal suo ano perché è questo che la patria vuole e lei non può deluderla quella patria, non può deludere il sistema che ha ingurgitato ingurgitandolo. Non può. E allora che la merda ritorni in circolo. Che ritorni ad autoalimentarsi sulle note dell’inno di Mameli.
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