di Nello Rossi
“Cartoline a Ponzone” è una rubrica nata il 18 novembre 2013 come evoluzione della precedente “Una foto al giorno leva l’ignoranza di torno”, entrambe pubblicate sulla bacheca Facebook “Anch’io offro la mia bacheca ad Ando Gilardi”, lo spazio creato da chi amava leggere le riflessioni sulle immagini del grande iconologo quando era stato “bannato” per la seconda volta. Da tempo pubblicate anche su WE DO THE REST, il davvero insolito “gruppo fotografico” che Fulvio Bortolozzo ha saputo riunire in Facebook, queste “Cartoline a Ponzone” – delle riflessioni sulle immagini inviate come cartoline virtuali a Ponzone, la stupenda località del Monferrato dove Ando Gilardi si era ritirato a vivere una fertilissima vecchiaia – sono un pretesto per continuare un dialogo impossibile con quell’amico che mi ha insegnato a vedere le immagini in un modo del tutto nuovo; e la prosecuzione dell’abitudine a inviare in quel magico teatro di colline le bozze di lavoro di “Revisioni”, i saggi sulle innocenti immagini della fertilità, che gli inviavo, con cadenza quasi annuale, per ringraziarlo di tutto quello che mi aveva insegnato, e su cui desideravo conoscere il suo, per me decisivo, parere.
Ero ancora a letto per una fastidiosa influenza quando mia moglie mi ha fatto leggere sul suo i-pad lo scherzoso invito di Sandro Bini, su WE DO THE REST, a scrivere qualcosa in merito a un articolo comparso su La Repubblica, riguardo alla vicinanza, pochi passi, fra il palazzo in cui sarà possibile assistere alla quadriennale ostensione della Sacra Sindone e quello in cui sarà allestita una mostra delle opere di Tamara de Lempicka, la “scandalosa” pittrice che amava ritrarre corpi nudi femminili, come quello della donna che aveva amato.
Che dire, di questo stridente e possibile, se ne sta ancora discutendo, accostamento con l’immagine del sacro lino, che i cattolici vogliono credere, contro ogni dimostrazione scientifica, abbia avvolto il corpo di Cristo, e non sapere che è in realtà una falsa sacra reliquia, confezionata con abilità da un artista medievale per un mercato affamato di conferme visibili della fede?
Prima di tutto, quell’articolo, mi ha fatto tornare il buonumore: mi ha fatto ridere, quando ho letto che lo spazio in cui dovrebbero essere ospitati i quadri, quattro anni fa, durante l’ultima ostensione, era ingombro di file di confessionali per i pellegrini, ma sarebbe più corretto scrivere le pellegrine, che avessero desiderato, prima o dopo avere visto la “supersacra” immagine, confessare le loro terribili colpe. Poi, il primo pensiero che mi ha traversato la mente è stato: ben gli sta, al braccio secolare, che nel secolo ventunesimo ancora si ostina, incurante del dettato costituzionale ma interessato a non smuoversi più dalla poltrona politica, a andare a braccetto con la Chiesa; ben gli sta a Piero Fassino, sindaco di Torino, la città dove dovrebbe avvenire l’impossibile connubio fra la cultura clericale e quella laica.
Perché se l’è andata a cercare, il “grissino torinese”, questa situazione imbarazzante, con il sostegno offerto, tempo fa, al Comitato per l’Ostensione della Sindone, sostegno che gli aveva fatto guadagnare la “Clericalata della settimana”, la notizia pubblicata settimanalmente dalla UAAR, l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, perché ritenuta la perla della bassezza clericale o dell’ossequio laico al clero. In ultimo, una agrodolce riflessione fotografica. È purtroppo merito o meglio demerito della fotografia se la Sacra Sindone ha acquistato un fascino ancora maggiore di quello che già possedeva. L’immagine sul sacro lino non poteva certo sfuggire all’apparecchio fotografico, e quando, il 28 maggio 1898, l’avvocato Secondo Pia ha sviluppato una sua lastra di 50 x 60 centimetri si è emozionato, e a ragione, perché le luminosità invertite mostravano un’immagine molto più simile a un volto, ritenuto divino, di quello visibile direttamente nelle sbiadite tracce conservate dal “sudario”: è per questa ragione che la fotografia di quell’immagine, che i credenti amano considerare una “fotografia a contatto” con i toni invertiti, è riprodotta soprattutto in negativo. Per sollevare la fotografia da questa colpa, ricorderò uno stratagemma, dettato dalla fiducia nel diffuso analfabetismo fotografico, messo in atto da Ando Gilardi tanti anni fa, consistente nel pubblicare, quando era vietato dalla legge, delle fotografie semipornografiche, delle vecchie lastre sfuggite all’iconoclastia: in negativo, così nascondendo un messaggio “osceno”, come, settanta anni prima, un altro negativo ne aveva involontariamente messo in rilievo uno “sacro”.
