di Nello Rossi
La fotografia qui proposta, fa parte di una affascinante serie realizzata da Robert Doisneau. Con un apparecchio fotografico nascosto, dopo avere predisposto una attraente trappola “fertile”, ha rubato gli sguardi, scandalizzati o interessati di chi si era fermato davanti alla vetrina.
È una fantasia che un uomo venda la propria ombra, come avevo letto in una riduzione illustrata di “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”, l’affascinante racconto di Adelbert von Chamisso che da piccolo mi aveva attratto e impaurito, e avrei da grande letto non “ridotto”. Come è una fantasia che la fotografia porti via qualcosa al soggetto fotografato, che è poi la ragione per cui in paesi di religione islamica, a tradizione aniconica, il “fotografato” pretendeva, e forse ancora oggi talvolta pretende, di essere economicamente remunerato.
Ma se è vero che, materialmente, chi è fotografato non perde niente, come in fondo non perderebbe niente un uomo che vendesse la propria ombra, è anche vero che, quando l’immagine è prelevata a insaputa del soggetto, il fotografo “ruba” qualcosa: una intimità, una fragilità, una indelicatezza, una debolezza, qualcosa insomma che il soggetto fotografato molto probabilmente avrebbe preferito tenere per sé. La fotografia, a volte, sa essere molto indiscreta, e non sto pensando alle immagini che Ando Gilardi, in un foglio distribuito durante un SICOF anni fa, invitava a non prelevare: questa fotografia di Robert Doisneau ce lo dice con chiarezza.
La fotografia, per sua natura, è spesso indiscreta e ladra ( sono sicuro che Ando Gilardi, quando ha pensato al curioso e attraente titolo del suo libro “Meglio ladro che fotografo” ne fosse perfettamente consapevole), perché nei riflessi che sa conservare delle cose e delle persone si appropria sempre di un po’ di verità, e in certi casi proprio di quella verità che si vorrebbe restasse nascosta.

(da www.vixstatic.com)