di Francesco Muscatello
Ora che sta macinando record di ascolti anche oltreoceano (3milioni di spettatori al debutto, battuti Scorsese e Soderbergh) è arrivato il momento di chiedercelo seriamente: al di là dell’esaltazione della distruzione dell’impasse, del manierismo e dell’ambiguità delle narrazioni di Paolo Sorrentino, cosa ci resta di “The Young Pope?”
Cosa avrebbero da temere con un papa bello e rassicurante come Gesù Cristo?
Sicuramente il ritratto di un Papa estremo. Giovane, per innumerevoli ragioni: perché incarnato da un Jude Law scultoreo nel corpo e tendente all’aureo nel viso; perché ambientato in un futuribile presente segnato dalla comunicazione globalizzata; anche e soprattutto perché è stato il primo Papa ad apparire in una serie TV che esula dal biografismo. Dietro al volto angelico del giovane Lenny Belardo che se ne va in giro per il Vaticano con sigaretta in bocca, felpa e spiccato senso dell’humor, Sorrentino cela un personaggio spaventosamente conservatore, dedito all’isolazionismo della Chiesa e all’inquisitoria persecuzione di omosessuali e aborti.
Tuttavia, e con Sorrentino dovremmo ormai esserci abituati, la storia non è mai fine a se stessa, la trama non è mai così rilevante, e così questo luciferino – sebbene si tratti di un Papa – personaggio, è semplicemente il punto di partenza per giungere alle riflessioni universali ed esistenzialiste che la serie e il regista si prefiggono.
L’assenza. Siamo quel che ci manca, da sempre. È questo che l’apparentemente assurda omelia di Pio XIII vuole ricordare ai suoi fedeli: che solo attraverso il sacrificio dettato dall’assenza, la ricerca e la consapevolezza di un reale bisogno, si può sperare di ritrovarsi. Quella che hai più può essere sembrata una delirante e superba affermazione “dovete cercare Dio, solo allora mi meriterete”, racchiude in sé un messaggio invece di grande attualità, forza e ragionevolezza: il Papa si sottrae ai suoi fedeli perché, finché continuerà a mostrare il volto della Chiesa, a fornire ai fedeli la loro porzione di Dio in pillole ogni domenica, tanto basterà per sentirsi cristiani. Inaugura un nuovo cammino, necessario per giungere alla consapevolezza della propria spiritualità, un cammino che conosce sacrifici e non conosce compromessi, durante il quale “non è lecito aspettarsi nulla, alcuna mano tesa”. Pio XIII si rintana nella sua assenza e lascia orfani i fedeli, proprio come i genitori hanno lasciato solo Lenny, indicando tuttavia una “porta minuscola” dalla quale solo i veri fedeli troveranno la forza di passare, dalla quale Lenny è passato per primo, trovando Dio: “perché voi l’inferno non lo conoscete, ma io l’ho visto” dice ai Cardinali.
Dobbiamo tornare ad essere proibiti, inaccessibili, perché solo così saremo desiderati
La necessità di un ritorno all’assenza strizza perfettamente l’occhio all’idea che la Chiesa dovrebbe tornare a trasmettere, un’idea metafisica, di pura sostanza: “la Chiesa non porterà il mio volto, perché io non esisto” dice Pio XIII nell’indicare quel viatico di semplicità e assenza che è assai funzionale ad un altro tema inevitabile e delicatissimo di The Young Pope: la comunicazione mediatica e la tecnologia. Sorrentino da questo punto di vista concentra in poche, magistrali scene il sunto di quanto nell’era dell’inflazione da informazioni tutto ciò che si sottrae alla fruizione di massa divenga aprioristicamente apprezzabile. Una lezione di comunicazione di certo non da attendersi proprio da un Papa il quale, tuttavia, fa il verso persino al mondo accademico harvardiano.
Ma cosa dovrebbe essere la Chiesa se non altro l’anello di congiunzione tra Dio e gli uomini, e così la costruzione di un’istituzione in absentia non è altro che lo specchio del rapporto che lo stesso Pontefice ha nei confronti di Dio. Pio XIII afferma con assoluta convinzione: “Io non credo in Dio, perché Dio non crede in me”. Un’immagine del genere – un Papa che non crede in Dio – può risultare quanto di più provocatorio possa essere partorito da un intellettuale, ebbene essa non è una pretenziosa contraddizione, quanto l’ennesimo monito che Pio – Paolo muove all’universo cristiano. Lenny non esclude la presenza di Dio, tanto è che ad esso si rivolge; Lenny si rifiuta di credervi staticamente e di affidargli dogmaticamente ogni responsabilità sulle gioie e i dolori dell’essere umano. Lenny non crede alla volontà di Dio, egli tuttavia crede in sé stesso: è lui che sceglie di fondare la propria esistenza sulla cieca fede alla sua preghiera, una preghiera così spasmodica e assoluta, integralista, da arrivare fino a Dio, fino a farlo diventare Papa: “Lenny, tu ti sei illuminato da solo, cazzo!”.
Diceva in grande Federico Fellini: “Saresti capace di scegliere una cosa, una cosa sola ed essere fedele a quella? Riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto e che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà a farla diventare infinita. Ne saresti capace?”. È quello che fa Lenny, che rinuncia a tutte le passioni terrene per sposare Dio, consapevole della sua volontà, cosciente del fatto che, se si abbandonerà ciecamente, fino alla distruzione, allora Dio sarà ‘obbligato’ ad ascoltarlo. E così succede, quelle di Pio XIII non sono suppliche né preghiere, sono ordini: Lenny parla a Dio come se parlasse ad un suo pari, non perché si crede una divinità, ma semplicemente perché nel bilaterale rapporto con Dio egli sa di aver fatto la sua parte, di non essere dal torto, di aver dedicato la vita a Dio.
Paura e libertà stanno sempre insieme, come due vecchi sposi pronti uno a morire per l’altra.
Una volta esaurito il percorso – di Pio XIII e di tutti noi – di sottrazione, assenza e sacrificio, arriva finalmente il momento dell’armonia e della consapevolezza, nel quale si giunge al cosciente bisogno di Dio, e allora Pio XIII si mostra nel meraviglioso e universale messaggio d’amore della straziante omelia in Africa. Un momento d’estasi nel quale un uomo ossessionato dal dubbio sull’esistenza di Dio si ricongiunge con esso: Lenny, che chiede interroga chiunque sul momento della propria vocazione, mostra finalmente come ha raggiunto la sua di pace “in riva a un fiume, in Colorado”. E si ricongiunge con il popolo cristiano: intimo e toccante l’incontro di notte sull’aereo privato con un giornalista al quale mostra il suo volto; The young Pope è una serie che parla d’amore, e degli innumerevoli modi con cui, secondo il regista, la Chiesa dovrebbe trasmettere questo messaggio universale. Sorrentino allora ci mostra Dio e ci mostra l’amore: l’amore è nella mano che il Cardinal Voiello tiene a Suor Mary perché “chi lo dice che un uomo non possa amare contemporaneamente una donna e Dio”; l’amore è nell’omelia del Cardinale Dussolier, che lascia per sempre il Costa Rica; l’amore è nell’abbraccio di Suor Mary ai suoi due ‘bambini’ tornati dopo una fuga; l’amore è nel sorriso di Girolamo su una spiaggia romana, “l’unico che può veramente aspirare alla santità”.
The young Pope è, in sintesi, ci lascia il racconto originale di una storia d’assenza e d’amore; il fatto che dovrebbe parlare anche di Dio la dice lunga su quanto abbia colto nel segno.