Si è concluso a Milano il Giro d’Italia più punk delle sue cento edizioni. Il sangue, le feci, i colpi proibiti e l’autolesionismo hanno caratterizzato le tre settimane di corsa che hanno portato il gruppo, la carovana e l’immaginazione delle italiane e degli italiani dalla Sardegna alla capitale economica del Belpaese. I nomi ed i luoghi toccati dalla corsa rosa sembrano essere stati partoriti dalla fantasia di Steve Ignorant: il Blockhaus (che sembra il nome di una band sorta nell’ex Germania socialista), l’odore di marcio delle Terme di Guardia Piemontese, il paese di Bastardo (sede di uno degli intermedi della prima cronometro)ed il Mortirolo potrebbero benissimo costituire la geografia musicale di un disco dei Kina, per rimanere in ambito italiano. Poi l’autolesionismo di Tanel Kangert che decide di mettere a tacere la propria rabbia schiantandosi contro uno spartitraffico a velocità supersonica, il nichilismo di Quintana che nel momento di attaccare decide di fottersene e restare a ruota, l’evacuazione intestinale di Tom Dumoulin che rende omaggio alle contraddittorie performances di G. G. Allin e l’immolarsi contro l’ordine costituito del basco Mikel Landa e del gallese Geraint Thomas i quali, forse ispirati dalla lettura di Costretti a sanguinare, decidono di spaventare a morte le pattuglie della Polizia Stradale incuranti della differenza di bardature tra una bici da corsa ed una motocicletta di grossa cilindrata.
Non è un caso che alla vigilia della giornata conclusiva di quello che l’impero social-mediatico ha chiamato #girocento abbia suonato a Milano l’unica band veramente punk del ventunesimo secolo: gli Sleaford Mods da Notthingham. Il duo inglese, composto da Jason Williamson alla voce e Andrew Fearn alle basi (si, cari puristi, gli Sleaford non usano degli strumenti classici bensì un laptop dal quale lanciano le campionature), sforna dischi a ripetizione da una decade e sono diventati la voce più autorevole dell’Inghilterra che s’oppone con angoscia e passione all’austerity, ed ai mostri da essa generati come la Brexit, inaugurata da Cameron e resa unico paradigma socio-economico dal governo di Theresa May. Il gruppo anglosassone, che in meno di un’ora di concerto ha trasmesso un’intensità sconcertante, degna del Pavel Tonkov capace di mettere in discussione la vittoria di Marco Pantani nel 1998, ci forniscono, così la colonna sonora per ricordare questo Giro sporco, stonato e terribilmente accattivante.
A Luka Pibernik, il ragazzo che, forse ammaliato dalle omeriche Sirene, credeva di aver vinto a Messina quando ancora mancava un Giro del circuito della cittadina peloritana, dedichiamo Silly me, la canzone dei Mods che recita: ‘Silly man don’t win, he’s got a gob on him’
Il sontuoso Fernando Gaviria rende obbligatoria l’associazione con il pezzo Urine Mate (welcome to the club), che gioca sulla fonetica rendendo il colombiano ai nostri occhi sia un compagno di pisciate che il nuovo membro del club, quello dei grandissimi sprinteurs.
Al frenetico Ilnur Zakarin consigliamo, invece, l’ascolto di Jobseeker, il russo, con le sue azioni in salita è stato l’atleta che più ha cercato di mettersi in mostra nei momenti decisivi, non riuscendoci sempre, proprio come i precari alla ricerca di un lavoro che fanno un colloquio scintillante ma non riescono a farsi assumere, ed escono gridando dall’ufficio risorse umane ‘I’ve got drugs to take and a mind to break’.
Sul gradino più basso del podio Vincenzo Nibali è salito cantando ‘I can hear the scream of people who wanna be me, they wanna shave my tongue and tell the others they were the ones who made me’, perché lo Squalo è contraddittorio e strafottente come il protagonista di Tiswas.
Al machiavellico Nairo Quintana riconosciamo, invece, la paternità di uno degli ultimi singoli del gruppo delle East Midlands, quello intitolato TCR, acronimo che sta per Total Control Racing, ovvero il giochino della pista con le macchinine telecomandate, perché se il ciclismo fosse una gara privata dal gusto della sfida e dello spettacolo in cui i corridori viaggiano su binari preordinati forse riuscirebbe a vincere.
A Tom Dumoulin è inevitabile assegnare la melodica Tarantula Deadly Cargo, pezzo che Fearn e Williamson hanno scritto ispirandosi alla distruttiva portata dei gas intestinali del loro manager, racchiusa nella metafora ‘carico mortale’; l’olandese è stato abilissimo a trasformare il suo deadly cargo in energia propulsiva che lo ha portato alla vittoria perché anche i vecchi punx rispettano il principio della termodinamica che dice che ‘l’energia di un sistema termodinamico chiuso non si crea né si distrugge, ma si trasforma, passando da una forma a un’altra’ e talvolta ti porta a vincere un bloody Giro, direbbero gli Sleaford.