Achtung, acthung! Neanche dopo la Strage di Duisburg la situazione è cambiata: ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra oggi sono molto radicate nell’economia tedesca. La Germania, ancora traumatizzata dall’incubo nazista, ha il timore della concentrazione del potere nelle mani dello Stato, e la cosa rende impossibile l’introduzione di una legge simile al nostro “416bis”. Può sembrare un paradosso, ma è la realtà in cui versa il Paese leader dell’Unione Europea, raccontata al festival Trame di Lamezia Terme da Sandro Mattioli, giornalista d’inchiesta italo-tedesco e presidente dell’associazione “Mafia? Nein Danke!” e dal regista Bernhard Pfletschinger, intervenuti al panel dal nome “La Strage di Duisburg 10 anni dopo”, coordinato da Angela Iantosca, direttrice della rivista Acqua&Sapone e autrice di numerosi libri sulle mafie.
Che la Germania sia infiltrata dalle mafie italiane non è un fatto recente.
“Già dalla fine degli anni ’80 – hanno spiegato i due ospiti – gruppi criminali provenienti dal sud Italia hanno messo radici in diversi Lander e riciclato capitali accumulati dai traffici di droga. Facilitati, purtroppo, dall’assenza di una legislazione antimafia e anticorruzione, e dalla mancanza di strumenti come le intercettazioni ambientali e telefoniche ritenute lesive dei diritti del cittadino”.
Nei giorni in cui la Direzione Nazionale Antimafia certifica l’ascesa sempre più inarrestabile della ‘ndrangheta “presente in tutte le regioni d’Italia, oltre che in Australia, Canada, Germania”, da Lamezia Terme viene lanciato un altro allarme: la Germania è sempre più impotente di fronte ai clan. Neanche la scossa di morte e sangue della Strage di ferragosto 2007 ha innescato provvedimenti delle istituzioni e la preoccupazione dell’opinione pubblica. I tedeschi preferiscono rimanere ciechi di fronte alle mafie. E proprio quella faida tra i clan provenienti da San Luca, piccolo agglomerato rurale calabrese sulle cime dell’Aspromonte (dove il Consiglio comunale è stato sciolto nel 2013 per presunte infiltrazioni mafiose e da allora non si riescono a tenere le elezioni amministrative per assenza di candidati), iniziata nel 1991 in Calabria e culminata 16 anni dopo a Duisburg, nel land nord ovest della Renania-Vestfalia, fu il segnale che la ‘ndrangheta non era più un fenomeno circoscritto al sud Italia.
Ricapitoliamo brevemente i fatti. Estate 2007, ferragosto per la precisione, nel ristorante italiano “Da Bruno” , le famiglie Nirta e Strangio stanno festeggiando l’ingresso nella maggiore età di un giovane rampollo di mafia, pronto a entrare anche nella “Santa” e “Onorata Società”, con tanto di santino dell’Arcangelo San Michele custodito in tasca. A un certo punto il sangue e la morte. Arrivano i clan rivali Pelle e Vottari a porre fine alla festa: 70 colpi sparati, sei persone uccise (tra cui lo stesso neo-diciottenne) che saranno ritrovate in una Golf e in un furgone, con un proiettile conficcato in testa. Probabilmente era la vendetta per l’omicidio di Maria Strangio, moglie del boss Giovanni Nirta, uccisa il giorno di Natale 2006 a San Luca.
“Ma nulla è stato fatto per prevenire e contrastare l’infiltrazione di questi gruppi criminali – lamenta Pfletschinger – . La magistratura tedesca sapeva che quelle famiglie calabresi erano presenti sul nostro territorio, erano state informate dalla polizia italiana, ma la legge non consentiva loro di agire”.
“Circa due anni fa abbiamo appreso che il titolare del ristorante Da Bruno era sorvegliato dalla polizia già dal 1984 – sottolinea Pfletschinger – ma le forze di polizia non avendo prove che fosse effettivamente legato alla ‘ndrangheta, non sono intervenute“. Morale della favola, forse quella strage e l’infiltrazione delle ‘ndrine si poteva arrestare, in un modo o nell’altro. Non si tratta, però, solo di un gap normativo. Anche i media e l’opinione pubblica “non hanno mai voluto osservare realmente il problema”, come spiega Mattioli, inviato, tra gli altri, del settimanale Der Spiegel. Autore nel 2012 dell’inchiesta sul sequestro del parco eolico di Isola Capo Rizzuto, realizzato anche grazie ai fondi dell’istituto di credito tedesco Nord Bank, racconta: “Sulla stampa la Strage di Duisburg fu declassata a scaramuccia tra calabresi, non si capì o non si volle vedere la gravità del fenomeno”. Dopo quel 15 agosto e dopo che alcuni ristoratori denunciarono di aver subito minacce ed estorsioni, i commercianti fecero rete a Duisburg, Berlino, Colonia e diedero vita all’associazione Mafia? Nein Danke! (mafia? no grazie), insieme all’europarlamentare Laura Garavini, presieduta oggi dallo stesso Mattioli. Una sorta di Addiopizzo siciliana con il bollino anti-clan esposto sulle porte d’ingresso dei loro locali.
Ma parlare di mafie in Germania resta un tabù. E Sandro Mattioli è uno dei pochi a occuparsi del fenomeno. Un’altra è Petra Reski, che alla ‘ndrangheta ha dedicato libri e inchieste. “Era stata proprio lei a scrivere su Freitag, giornale per cui lavorava, che anche il titolare del ristorante Da Bruno era mafioso, appartenente alla famiglia Strangio, e aveva aperto un’altra attività nella Germania dell’Est”. Risultato: articolo rimosso dopo che il ristoratore in questione l’aveva querelata, senza che il giornale la tutelasse in alcun modo. “Anzi – sottolinea Mattioli – a fine giugno si concluderà il processo e Petra Reski rischia di dover pagare 100mila euro di risarcimento a questo personaggio”. Le mafie sono ormai globalizzate, la ‘ndrangheta è tra quelle più forti ed estese al mondo. Come ha spiegato in un altro dibattito del Trame Festival la vice direttrice del Centro di Criminologia all’Università di Essex nel Regno Unito: “Esistono due tipi di ‘ndrangheta. Quella italiana con la ‘n minuscola, identificata con il 416bis, e poi c’è quella estera con la ‘N maiuscola e non è una banalità. Perché negli altri Paesi la cercano come se fosse la mafia siciliana, con un boss e un vertice, mentre i clan calabresi sono strutturati per famiglie, per questo non riescono a trovarla“.
Nel 2014, secondo la BKA, polizia federale tedesca, in Germania erano attivi circa 1200 membri delle tre mafie italiane con 967 affiliati e tra questi 206 provenienti proprio da San Luca. Oggi i gruppi criminali calabresi sono presenti a macchia di leopardo in Renania, a Berlino, in Baviera, a Stoccarda, ad Amburgo. La Germania – secondo Mattioli – “è un secondo nord Italia. La vera domanda da porsi piuttosto è: quali zone non sono state ancora infiltrate e dotarsi degli strumenti necessari a contrastarle. Io non sono molto fiducioso che ciò avvenga”. Ma glielo dovrebbe chiedere l’Europa.